Donna, tutta un’altra razza!

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Donna, tutta un’altra razza!

Riflessione su un testo di O. Weininger

 Riflessioni e Letture di Giulio Lucchetta, docente  Università “G. D’Annunzio”, svolte a conclusione della manifestazione del 13 febbraio in piazza G. B. Vico:

 

È ora che sveliamo e smontiamo gli osceni paradigmi intellettuali che si agitano dietro le fila dell’avversario che sotto il segno delle mutande pretenderebbe di contenere il discorso all’interno di una querelle su Kant, e il dispotismo etico. È curioso, ma proprio questo giocherellare di Ferrara con Kant, preso a pretesto da Eco per offrire uno scorcio sull’inattualità delle “cose ben più serie” a cui si interessano gli intellettuali sembra voler depistare dagli argomenti che rivendicano ora le donne, nascondendo il nucleo duro dell’ideologia che sente vitale solo la donna sempre pronta a consegnare le proprie mutande. Queste sono le tesi, come Ferrara certamente sa, di uno psicologo ebreo, Otto Weininger, morto suicida a ventitré anni, sviluppate in Sesso e carattere (i903), rubacchiando un po’ di Aristotele, Kant, Hegel, Schopenhauer, Nietzsche e Freud: un testo che ebbe una grande diffusione negli ambienti reazionari e razzisti del primo Novecento, di cui, con il suo permesso, offriamo alcuni stralci in lettura perché le donne comprendano, come diceva Platone, le vere ragioni del lupo.

 

Perché vede, Professor Ferrara, le donne sono scese in piazza credendo che si debba loro dignità e rispetto indipendentemente dal colore delle loro mutande e non nella misura in cui sono pronte a sfilarsele di fronte alle vantaggiose garanzie di vita che assicurerebbe il Potere. Non solo il Puritanesimo ma anche il Puttanaio è negazione della libertà di scelta di comportamento della donna. Vorrei farle notare che se è sublime parlare di Kant all’ombra delle mutande; Platone, prudentemente, parlava di eros con Fedro, noto omosessuale, all’ombra dell’agnocasto, di modo che il suo profumo mitigasse e inibisse le eventuali pulsioni erotiche. È ora il caso che, al di là dell’incontenibile desiderio della componente femminile di godere del fatto di essere donna e di estrinsecarlo in una spontanea festa carnevalesca, la componente maschile entri nella parte “fredda” della discussione; invece Lei per evitare di sfoderare i propri testi di riferimento, si limita ad esibire i propri testicoli contestando “a prescindere”, cioè preventivamente, la capacità interpretativa di Eco su Kant. Certo questo è un nobile duello intellettuale, ma svia sulle ideologie in ballo. Qui si tratta di fare chiarezza ed esporsi con le idee, se ce ne sono: tolto il fatto che la donna ha diritto di viversi come vuole, c’è da discutere semmai su come tuttora gli uomini pretendano che sia la donna. Sono note, infatti, e ben rintracciabili le fonti d’ispirazione che portano certi ambienti conviviali a usarle esclusivamente per l’appariscente sex appeal, nell’autentica convinzione di valorizzarne così l’intrinseca loro natura. È in ragione di ciò che Santanché, Cicchitto, Gasparri e altri nobili scherani, si sono sentiti nel dovere di prendere le difese di tali generose e devote ancelle. Dovremmo far affiorare quella visione del mondo che porta loro a credere che la liberazione della donna sia l’estrinsecazione della sua irrefrenabile sessualità, che la tiene ancorata all’animalità. Penso che potrebbe essere un argomento di riflessione anche per le donne stesse, poiché un certo pensiero femminista tematizza la propria totale alterità dal cerebralismo sessista maschile: posizione di fatto condivisa da chi, per le stesse ragioni, è pronto a offrire loro un posto a cena, programmando un adeguato dopocena. In realtà il pericolo è che ci si metta a invocare la liberazione della donna dalle convenzioni, per scoprire poi che si trattava dei diritti di ogni cittadino.

I paradigmi ideologici che orientano pensatori e operatori della comunicazione squisitamente reazionari sono contenuti in O. Weininger, Geshlecht und Charakter, pubblicato a Vienna nel 1903, nonostante il veto di Freud e senza immediato successo. In seguito, però, grande fu la diffusione e l’influenza che ebbe sulla mentalità corrente nel corso dei primi decenni del Novecento su tutti quelli che contestavano il suffragio universale aperto alla componente femminile della società,  su coloro che celebravano la Belle Époque sulle salde fondamenta del lavoro schiavistico nelle colonie, su chi usava celebrare il rito di iniziazione alla vita relazionale degli adulti attraverso la prestazione nelle case di tolleranza. E forse è solo questa l’unica tolleranza di cui ora si ammanta il Professor Ferrara, già studioso di Spinoza. Sesso e carattere delinea due tipologie assolutamente divergenti e incongruenti e per ciò stesso riconducibili solo a un rapporto di assoluto assoggettamento (7-8); Weininger sì che è un fervente puritano! I tipi maschile e femminile, così rigidamente delineati, non si danno assoluti ma costantemente mescolati negli individui: allora l’emancipazione femminile equivale all’affioramento di ciò che di maschile vi è nelle donne (13). Altresì la teoria della mescolanza implica che l’uomo debba riconoscere nella donna, che è fuori di sé, ciò da cui nel proprio interiore deve prendere le distanze per conservarsi maschio; per capire il funzionamento di tale presa di coscienza Weininger cita Wagner e il modo in cui egli rappresenta l’Ebreo, perché l’ariano possa rimanere quello che è (16). Così si delinea una differenza tra uomo e donna non dissimile dalla connotazione “razziale”, che intellettuali compiacenti ai regimi nazifascisti delineeranno per distinguere gli ebrei dagli europei nella stessa casa di sempre. L’argomentazione di Weininger, infatti, porterà a una disamina dell’Ebreo come il tipo maschile più vicino ai modi del femminile (9-12). Se queste ragioni portarono Freud a rifiutare di prendere sul serio Weininger, al contrario spingeranno Hitler a testimoniare il suo reale interesse, coniando per lui il detto “l’unico ebreo da prendere in considerazione purtroppo è morto suicida a Vienna”. Il testo potrebbe essere letto in chiave satirica, quasi sulla scia di quel gusto del paradosso anticonvenzionale che trova fulgidi esempi in Oscar Wilde e Karl Krauss; totale è invece l’assenza di sense of humor o il gusto della provocazione intelligente né in tal senso è mai stato recepito, tanto che i suoi tipi verranno riutilizzati negli anni ’30 per delineare i protocolli dell’antropobiologia per identificare la “razza psicologica” ebraica. L’assoluta plasmabilità della donna, e dell’ebreo, ai voleri dell’uomo ariano è in ragione della totale mancanza di una propria forma definita, di un io cosciente e coerente, di un rispetto di sé che li rendano soggetti attivi di pensiero. A tali conclusioni non si arriva attraverso ricerche sociologiche o di laboratorio; è il risultato di cattive influenze, come la lettura pedissequa e acritica dei Protocolli dei “Savi anziani” di Sion, ripreso di recente (guarda un po’!) da Eco. Insomma, relativamente alla connotazione del femminile, Weininger offre in anticipo tutto quel campionario di luoghi comuni che i palafrenieri e i maggiordomi del sultano ci stanno sciorinando, volendoci far credere di difendere, qui come in Iran, il diritto della donna di condurre una vita libera, moderna e disinibita.  Di fatto anche per Weininger le donne vengono liberate se ricondotte alla loro propria natura di pura e indistinta sessualità (4-5); esse sono tali perchè mancanti della distinzione, che opera il pensiero, tra l’essere oggetto o soggetto di azioni. Le donne non possono produrre pensiero perché non le sfiora l’idea di poterne avere, private come sono della consapevolezza del proprio io (1-3); ciò le rende plasmabili così da diventare tutto, ma non potranno mai essere le artefici della propria trasformazione (7-8). Una curiosità: Weininger arriva alla conclusione che le donne sono state private dell’anima (6), che l’uomo (divino e santo) ha tenuto per sé e questo potrebbe spiegarci certe affinità giorni nostri tra la Presidenza del Consiglio e i capi di governi islamici, comprese le loro “nipoti”. Ancora: nelle pagine di Weininger (8-14) sembra protocollato il comportamento che viene riconosciuto all’assessore Minetti dalla stampa e dai magistrati. Secondo Weininger sarebbe sempre l’incontenibile desiderio di realizzarsi solo ed esclusivamente nella sessualità che porta la donna a valorizzare in modo assoluto la particolare attenzione che le può offrire l’uomo, nell’esercizio della sua “mascolinità”; se va spegnendosi questo tipo di interesse per la donna, questa, per la quale non vale il principio di identità e di individualità (5), è capace di farsi “ruffiana” (8) fino a procacciare al sultano altre donne, purché la fiamma della sessualità, che le dà l’unica e autentica ragione di vita, non si spenga mai e si faccia, invece, universale.

Mi dispiace per Kant, ma il pensiero che ci turba non è tanto morale, quanto politico: ci chiediamo come possa mantenersi democratico un governo su cui aleggiano gli stessi propositi teorizzati ed esposti da una pubblicistica creata cent’anni fa per far collassare i governi borghesi nella confusione politica, nell’acutizzarsi degli scontri di classe e negli odi razziali. Nella convinzione che la compagine femminile sia uno di quei sensori in grado di offrire la temperatura sociale di una comunità, ci sembra che un paese in cui regni simile considerazione per le proprie colleghe, per le proprie dipendenti, per le proprie figlie, per le proprie compagne, per le proprie studentesse, per le donne in genere non sia un paese per vecchi, per bambini, per operai in cassa integrazione; non è un paese per terroni, per ebrei, per neri e valdesi, curdi o mussulmani; non è un paese per cittadini, insomma, ma per sudditi e schiavi. Come ai bei tempi coloniali!                 Giulio Lucchetta

 

Otto Weininger, Sesso e carattere (1903), Bocca, Torino 1942:

 

1. Per la donna pensare e sentire è la stessa cosa, mentre nell’uomo si può sempre distinguere; la donna ha una quantità di rappresentazioni in forma di enidi (=entità nebulosa, indescrittibile e inarticolata), quando nell’uomo il processo di delucidazione è da lungo assolto. Di qui la ragione per cui la donna è sentimentale e conosce soltanto la commozione, non l’agitazione. Alla maggior articolazione dei dati psichici nell’uomo corrispondono anche i suoi lineamenti e il taglio più marcato del suo corpo di fronte alla dolcezza, rotondità e indecisione della genuina figura e fisiologia femminile. (p. 89)

2. Il pensiero della donna sfiora le cose o vi sguscia attraverso, accosta appena il labbro alla superficie esterna, quella a cui l’uomo che si volge al profondo degli esseri, non porge neppure attenzione; essa assaggia, spilluzzica, tasta senza afferrare mai il vero. Per la ragione che il pensiero femminile è in primo luogo una specie di degustazione, il gusto nel suo senso più lato è la miglior qualità della donna, il punto culminante, cui essa può arrivare da sé e nel quale può in certo modo arrivare alla perfezione. Il gusto vuole che l’interesse si limiti alle superfici, bada alla consonanza del complesso senza mai fermarsi a parti troppo di rilievo. Quando una donna comprende un uomo – sulla possibilità o meno di un tal fatto è tutto da discutere – ella gusta, per così dire (per quanto spiacevole possa sembrare quest’espressione), dopo di lui, quant’egli ha posato innanzi a lei. (p. 170)

3. La donna non pensa né profondamente, né altamente, né acutamente, né schiettamente ma sempre l’opposto.Per quanto abbiamo visto finora ella non rappresenta neppure un pensiero, un senso: è un non-senso, un controsenso in tutta la sua persona. Ciò non significa però ancora l’imbecillità, nel concetto che ci formiamo di solito intorno a tale vocabolo: quello della mancanza della più semplice orientazione pratica nella vita comune. La donna è assai più regolarmente e costantemente furba, calcolatrice e accorta dell’uomo, ogni volta che abbia di mira un qualche fine egoistico che la tocchi da vicino. (p. 241)

4. Lo stato di eccitamento sessuale rappresenta per la donna il potenziamento massimo della sua vitalità, che è sempre e solamente sessuale. La donna si consuma tutta nella sua vita sessuale, nella sfera dell’accoppiamento e della procreazione, nella relazione, cioè, di moglie e di madre; essa ne viene totalmente assorbita, mentre l’uomo non è solamente sessuale. In ciò sta la differenza che s’è tentata di rintracciare nella diversa intensità dell’istinto sessuale. Non si confonda dunque la violenza dei desideri sessuali e la forza degli affetti sessuali con l’ampiezza nella quale questi desideri e pensieri occupano l’individuo. Tra gli estremi sessuali una differenza e della massima importanza è data solo dall’estensione della sfera sessuale in tutto l’essere della donna. Mentre dunque la donna è completamente occupata e assorbita dalla sua sessualità, l’uomo ha ancora una moltitudine di altre occupazioni: la lotta e il gioco, la società e la mensa, la discussione e la scienza, gli affari e la politica, la religione e l’arte. Non so né mi curo di sapere se una volta era diversamente. Impicciarsi di tale questione sarebbe la stessa cosa che discutere degli Ebrei: si dice che siano stati diversi e che siano diventati solo ora quali sono. Sarà ma non ne siamo sicuri; chi ha molta fede nell’evoluzione ci creda, ma prove non ce ne sono, ché contro la tradizione storica in un senso sta l’altra in senso opposto. Così anche c’importa soltanto di sapere come siano le donne al giorno d’oggi. (p. 78)… La donna non è che sessuale, l’uomo è anche sessuale. (p. 79)

5. Troviamo del resto una somiglianza formale tra la madre assoluta e la prostituta assoluta. Ambedue sono senza alcuna pretesa riguardo all’individualità del loro complemento sessuale. L’una s’accontenta d’ogni uomo che la sappia render madre e non ha più bisogno di averne altri, arrivata che sia al suo scopo: soltanto per questo motivo la possiamo dire monogama. L’altra si darà al primo uomo che capita e che le faccia provare piacere erotico: ecco il suo scopo. (pp. 200-201)

6. Così resta dimostrato che la donna non può desiderare la virtù dell’uomo. S’ella avesse in sé soltanto la menoma idea della perfezione, se fosse in un sol punto fatta a immagine di Dio, dovrebbe anche desiderare l’uomo, come questi la donna, santo, divino. Il fatto che ciò non accada dimostra come le manchi completamente il desiderio di arrivare a un valore proprio, che ella non si rappresenta volentieri personificato in qualche oggetto fuori del proprio corpo, come fa l’uomo, per potervi tendere più facilmente… Forse l’uomo umanizzandosi ha tenuta per sé solo la divinità, l’anima, con un atto metafisico indipendente dal tempo. Per quale motivo possa essere avvenuto non sappiamo naturalmente dire. Questa ingiustizia ch’egli commise di fronte alla donna, egli la sconta ora nelle pene d’amore perché si sente colpevole di rapina di fronte a lei, chè un’inspiegabile coscienza della colpa lo cruccia appunto solo di fronte alla donna amata. La mancanza di speranza che un tale tentativo di restituzione, col quale si vorrebbe cancellare la propria colpa, riesca, spiegherebbe perché non esiste un amore felice. (pp. 238-239)

7. L’uomo è forma, la donna materia… La materia vuol essere formata: perciò è che la donna pretende dall’uomo la delucidazione dei suoi pensieri confusi…  Le donne sono materia che assume qualunque forma. Quelle inchieste che hanno dimostrato nelle donne una migliore memoria per la materia d’insegnamento che nei ragazzi  si possono spiegare soltanto dall’inanità e nullità delle donne, che si possono impregnare con qualsivoglia cosa , mentre l’uomo non ritiene che quanto lo interessa veramente, e dimentica tutto il resto. Ma a quest’essere pura materia, a questa mancanza di ogni forma originale, si riferisce soprattutto l’adattabilità della donna, la sua straordinaria influenzabilità di fronte ai giudizi altrui, la sua suggestionabilità, la sua totale trasformazione da parte dell’uomo. La donna non è nulla e perciò, solamente perciò, può diventare tutto; mentre l’uomo non può mai diventare se non quello che è. Di una donna si può fare ciò che si vuole; l’uomo si può al massimo aiutare a divenire ciò che vuole lui. Perciò nel vero senso  della parola, l’educazione non ha senso che per la donna. Essa non può mai cambiare fatti essenziali nell’uomo; nella donna si può sopprimere, mercé l’influsso dal di fuori; perfino la sua intima natura, l’alta stima della sessualità. (p. 279)

8. La volontà dell’uomo è quella che crea la donna; egli impera su di essa e la muta fin dalle basi (p. 280)… La donna non sta in alcun rapporto con l’uomo, né lo comprende, ma capisce soltanto la mascolinità. (p. 281) La donna dipende nella sua esistenza dall’uomo: diventando l’uomo in opposizione alla donna, egli la presuppone, le dà esistenza. Perciò sarà il maggior interesse della donna di far sì che l’uomo continui a essere sessuale: la sua quantità di esistenza è proporzionale alla di lui sessualità. Perciò ella vuole che l’uomo si concentri tutto nel “phallus”, a costo di farsi ruffiana. (p. 284)

9. Uomini lenoni hanno in sé sempre dell’ebraico; e con ciò siamo arrivati al punto massimo di contatto fra la femminilità e il Giudaismo (p. 296)

10. Le donne e gli Ebrei ruffianeggiano ed è loro scopo di rendere l’uomo colpevole. (p. 316)

11. La congruenza tra l’Ebraismo e la femminilità sembra divenire completa quando si cominci a pensare all’infinita capacità di mutazioni di cui sono capaci gli Ebrei. (p. 305)

12. L’emancipazione delle donne è simile a quella degli Ebrei e dei Negri. La colpa principale del fatto che questi popoli furono sempre trattati da schiavi e stimati pochissimo sta certamente in primo luogo nel loro carattere servile. (p. 322)

13. Per quel che riguarda le donne emancipate: è l’uomo che in loro vuole emanciparsi. (p. 60)… Ma se il bisogno di libertà non si mostra che nelle donne maschili, sarà giustificato dire per induzione che D non sente alcuna necessità di emanciparsi (p. 62)

14. Come in realtà non esiste una “dignità femminile”, altrettanto impossibile è rappresentarsi un “gentleman” ebreo. L’Ebreo genuino manca di quella distinzione interna, che determina la dignità dell’Io proprio e la stima dell’altrui. Non esiste nobiltà ebrea. (p. 292)

15. Chiunque odia l’essere ebraico  (o il femminile, n.d.r.) l’odia in primo luogo in sè; il fatto che lo persegue in altri non è che il tentativo di liberarsene, localizzandosi totalmente nell’uomo in lui coesistente e illudendosi in tal modo per il momento di essere libero dall’altro. L’odio è un fenomeno di proiezione come l’amore: l’uomo non odia che sentendo sgradevolmente ricordato se stesso. (p. 289)

16. L’Ebraismo gli servì potentemente a riconoscere e affermare il suo contrario, a sollevarsi fino al Sigfrido e  Parsifal e a dare al germanesimo la massima espressione ch’esso abbia mai trovato finora nella storia. Vi è poi un altro, più grande ancora di Wagner, che dovette superare in sé l’Ebraismo prima di arrivare alla propria missione; anticipando diremo che l’importanza universale nella storia e il merito immenso del Giudaismo sta forse appunto nel condurre continuamente l’Ario alla coscienza di se stesso, nell’ammonirlo a restare quello che è. Questa è la gratitudine che l’Ario deve all’Ebreo; per mezzo di questo egli sa da che deve guardarsi: dall’Ebraismo quale possibilità in se stesso. (p. 290)

17. La donna superiore è ancora infinitamente inferiore all’uomo più basso. (p. 287)