La Resistenza in provincia di Chieti: memoria, oblio, revisione

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Breve sintesi

La Resistenza in provincia di Chieti:

memoria, oblio, revisione

Le memorie

A giugno del 1944 la provincia di Chieti era finalmente libera dall’occupazione tedesca. Dopo qualche mese, sulla stampa comparvero articoli in memoria di alcuni Caduti della Banda Palombaro e della rivolta di Lanciano. Questi scritti non sono ancora storia, sono i primi prodotti della letteratura della Resistenza abruzzese, che fiorirà soprattutto negli anni ’60 e ’70, con diari, racconti, romanzi, cronache, poesie, canti.

Nell’agosto del 1945 fu istituita una Commissione regionale per il riconoscimento delle qualifiche di partigiano combattente, di caduto, di mutilato o invalido per la lotta di liberazione, e di patriota. I capi e i principali protagonisti delle bande partigiane spedirono alla Commissione  relazioni sull’attività della propria banda, descrivendo le azioni militari, fornendo i nomi dei componenti, dei fucilati, dei feriti, dei morti in combattimento o per rappresaglia. La Commissione le inviò a Roma, al Ministero della Difesa, ove furono e sono tuttora archiviate in un ufficio. Anche sulla Brigata Maiella furono scritte nel 1944 due relazioni, una del comandante Ettore Troilo, un’altra di un tenente polacco, entrambe inviate allo Stato Maggiore dell’Esercito italiano.

Alle relazioni dei capibanda e dei capi della Brigata Maiella. si sono aggiunte quelle di alcuni familiari dei partigiani fucilati della Banda Palombaro, consegnate al delegato provinciale dell’Alto Commissario per le sanzioni contro il fascismo, nella speranza di avere giustizia. Esse contengono denuncie su modi, tempi e responsabili delle catture e delle torture subite dai loro congiunti.

Le relazioni dei capi delle bande partigiane e della Brigata Maiella, e quelle dei familiari dei fucilati – come pure le interviste ai reduci e ai congiunti - sono memorie individuali, non sono ancora storia della Resistenza. La storia è il passaggio dalle memorie individuali alla memoria collettiva. Nel compiere questo passaggio, lo storico deve tener presente queste memorie individuali, perchè sono fonti di prima mano; deve, però, maneggiarle con cautela, utilizzarle criticamente e con metodo scientifico.

 

Dalle memorie alla rimozione e all’oblio

Dopo la rinuncia al progetto di erigere un mausoleo, per tumularvi le spoglie dei Martiri partigiani di Chieti, e il fallimento dell’epurazione, che deluse la speranza dei familiari nella giusta punizione dei collaborazionisti, dei delatori e dei torturatori, corresponsabili dell’uccisione dei congiunti, la memoria della Resistenza cedette il posto alla rimozione e all’oblio.

Responsabili furono anche i reduci partigiani. A Chieti e Lanciano vi fu ressa per l’iscrizione alle sezioni dell’ANPI da parte di numerosi personaggi che, senza averne alcun titolo, si spacciarono per patrioti, per ottenere benefici economici e posti di lavoro. Molti veri patrioti abbandonarono, per disgusto, l’associazione, che non si preoccupò di organizzare nella propria sede un archivio per la conservazione di documenti indispensabili per la ricostruzione storica del movimento resistenziale.

L’oblio interessò la Resistenza anche in ambito nazionale. Per ragioni di Stato, fu accantonato il progetto di una “Norimberga italiana” (un grande processo per i crimini di guerra commessi nella penisola dai nazifascisti). Si temeva che la celebrazione dei processi, soprattutto quello a carico di una trentina di ufficiali tedeschi responsabili dell’eccidio di Cefalonia, avrebbe rallentato la riorganizzazione dell’esercito germanico e la sua integrazione nell’Alleanza Atlantica. La conseguenza di questa “smemoratezza patteggiata” fu la relegazione nell’oblio di numerose stragi (comprese quelle avvenute in provincia di Chieti e nell’intero Abruzzo), con l’archiviazione, fino al 1994, di 695 fascicoli nel così detto “armadio della vergogna”.

La rimozione e l’oblio lasciarono il campo libero, anche nella nostra provincia, all’uso politico e alla manipolazione della memoria della Resistenza. Per rimanere nella nostra città, esemplare fu la vicenda della costruzione del grande Sacrario militare, inaugurato nel 1969. Nel Sacrario furono inumate “le venerate spoglie degli Eroi”, dei decorati delle due guerre mondiali, di combattenti fascisti e di due combattenti della Banda Palombaro (Vittorio Mannelli, fucilato a Colle Pineta, e Biagio La Corte, caduto in uno scontro coi tedeschi sulle alture di Palombaro). Sulle loro piccole lapidi, però, non fu incisa, accanto al nome, la qualifica di “partigiano”. Parificare, nella morte, fascisti e partigiani, azzerando le differenze, significa manipolare e mistificare la memoria della Resistenza, per farne un uso politico. Quel che conta non è l’eguaglianza nella morte, ma la diseguaglianza nella vita, nelle motivazioni delle scelte, nella concezione di patria per cui si è combattuto.

 

Dalle memorie alla storia

Bisogna attendere il 1967 per una prima ricostruzione storica delle operazioni militari della Brigata Maiella e il 1974 per una prima organica sintesi della Resistenza in provincia. Nel 1967 fu pubblicato il libro Brigata Maiella di Nicola Troilo, figlio di Ettore Troilo, fondatore del Gruppo, con una prefazione di Ferruccio Parri. Nel 1974 l’assessore comunale Mario Zuccarini fece pubblicare lo studio La Resistenza nella provincia di Chieti, di Maria Antonietta Manzi, che aveva utilizzato, finalmente, le relazioni dei capibanda dormienti in un archivio del Ministero della Difesa. Assolutamente riprovevole, perchè offensiva della memoria dei martiri e noncurante del dolore dei familiari, fu la decisione di Zuccarini di affidare la pubblicazione del libro all’editore Marino Solfanelli, di cui certamente conosceva il passato di attivo componente della Guardia Nazionale Repubblicana, (formazione militare della Repubblica Sociale Italiana), e della banda Fioresi, responsabile della violenta repressione antipartigiana nel capoluogo.

Revisione e revisionismo

Dai due studi di Nicola Troilo e Maria Antonietta Manzi è partito il lavoro di revisione della storia della Resistenza nella nostra provincia e in Abruzzo. Che cosa s’intende per revisione?  Il lavoro dello storico deve essere indirizzato alla ricerca della verità obiettiva. La verità è un grande edificio collettivo, a cui ciascun ricercatore può recare il suo piccolo o grande mattone; e la costruzione procede per aggiustamenti successivi, correzioni, aggiunte, sulla base di nuove fonti disponibili e del perfezionamento delle tecniche di ricerca. Il vero storico è un revisore, perché nella sua ricerca parte dai risultati acquisiti dagli studiosi che lo hanno preceduto e li revisiona, cioè li approfondisce, li corregge, li chiarisce, li integra. Uno studioso che non opera revisioni per far progredire la ricerca storica, non è uno storico, ma un inutile ripetitore di risultati già noti. Uno studioso, invece, che rivede pregiudizialmente le acquisizioni storiografiche, eliminando o demonizzando quelle ritenute scomode, modificando o negando fatti, non è un revisore, è un revisionista, un mistificatore, oppure un negazionista o un rovescista.

Un forte impulso al processo di revisione della storia della Resistenza in provincia di Chieti e nell’intera regione è stato dato dall’Istituto abruzzese per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza, costituito con una legge regionale del 14 giugno 1977, con il compito di raccogliere e ordinare documenti, testimonianze, fonti, pubblicazioni. L’Istituto si è inserito nella rete nazionale degli istituti storici della Resistenza, contribuendo a formare una nuova generazione di studiosi, con saggi, testimonianze, interviste, pubblicati su una rivista diretta da Raffaele Colapietra.

Una tappa importante del processo di revisione fu la pubblicazione nel 1993 del libro di Costantino Felice, Guerra Resistenza, dopoguerra in Abruzzo. Il processo di revisione non si è fermato al libro di Felice. Quello sulla Resistenza nella nostra provincia è andato avanti, con nuovi studi sulla Brigata Maiella e con indagini su tematiche poco o niente affatto esplorate.

Conclusione

Per quanto concerne il tema della riconciliazione nazionale, al centro del dibattito storiografico e delle ricorrenti polemiche politiche sulla Resistenza, è inaccettabile e impossibile una riconciliazione basata su una parificazione o un compromesso tra i combattenti della RSI e i resistenti, tra la soppressione di ogni libertà e le libertà, codificate nella Costituzione, di cui oggi, proprio grazie alla vittoria sul nazifascismo, possiamo usufruire tutti, vincitori e vinti. Si tratta di scegliere da che parte stare, di riconoscere e accettare che l’Italia democratica e repubblicana è nata dal rifiuto del totalitarismo nazifascista. Solo così può nascere una memoria collettiva condivisa, fondamento della riconciliazione nazionale.

 

Filippo Paziente