UN ARTICOLO DELLA COSTITUZIONE

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UN ARTICOLO DELLA COSTITUZIONE

Nel momento attuale, in cui si fa continuamente riferimento al potere assoluto del ‘mercato’ e l’unico metro di valutazione delle scelte politiche sembra essere l’andamento del PIL, emerge come forse non mai la lungimiranza e la chiarezza di un articolo della nostra Costituzione del 1948, troppo spesso trascurato, che recita: ”L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.” (art 41).
Come in altre parti, la Carta esprime qui, in poche parole, semplici e inequivocabili, il progetto di una società libera, giusta e solidale, purtroppo da troppi tradito.
Le conseguenze del mancato rispetto dei doveri indicati nel secondo comma si fanno sentire quotidianamente; basta pensare ai troppi infortuni sul lavoro, spesso dovuti alla assenza di elementari procedure di sicurezza, causata dalla ricerca del massimo profitto. O a fenomeni che rasentano lo schiavismo, come lo sfruttamento dei braccianti mediante il caporalato.
Oggi però continuare a mettere al centro delle scelte politiche l’interesse privato a generare e accumulare ricchezza, ignorandone i costi sociali rischia di avere conseguenze irreversibili che si cerca con tutti i mezzi di nascondere, come la diffusione di patologie letali e la distruzione dell’ambiente.
Come definire diversamente la incapacità, o la non-volontà da parte del potere politico, di fronte alle pressioni di alcune multinazionali, di applicare sistematicamente il ‘principio di precauzione’ nell’uso in agricoltura di sostanze presunte o addirittura accertate come nocive e il cui uso dovrebbe pertanto essere impedito con ogni mezzo? O i profitti miliardari delle case farmaceutiche operanti spesso in regime di monopolio?
O la scarsa attenzione per lo spreco sistematico (o addirittura la privatizzazione) di risorse limitate e fondamentali per la vita, come il suolo e l’acqua potabile, minacciate da una forsennata quanto inutile cementificazione?
Come solo pensare di accettare trattati internazionali in cui l’interesse di capitalisti privati a non ridurre i loro utili potrebbe prevalere sulle scelte di organismi pubblici democraticamente eletti per difendere la salute e il benessere dei propri cittadini?
Oggi molti credono che non ci sia più differenza fra sinistra e destra. Sarebbe sufficiente a negarlo la volontà di attuare quelle poche parole: l’impresa è libera, ma non di recare danno alla società o ai singoli; tantomeno agli esseri umani che ancora non ci sono, e verso i quali il dovere del rispetto e della solidarietà non può certo essere minore. L’alternativa è, appunto, considerare le ‘regole del mercato’ un valore assoluto, cui sacrificare il diritto a un futuro (migliore, perché no?).
Siamo continuamente messi di fronte a questa alternativa, sia nelle nostre scelte quotidiane, sia nel valutare il comportamento di chi ci amministra (e magari che abbiamo votato).
Frequentemente alla richiesta di rispetto dei diritti collettivi viene contrapposto il ricatto della occupazione, della serrata (perché tale è in molti casi la ‘delocalizzazione’), che lascia senza reddito famiglie di lavoratori. Ricatto spesso subito, ma che non può esimerci da un giudizio etico.
Possiamo impegnarcI, ancora forse non per molto, per una alternativa, anche a livello individuale: con il rispetto per la nostra e l’altrui salute, magari con un diverso modello dei consumi anche alimentari; con il rifiuto della rincorsa ai beni effimeri, alla spinta ossessiva al loro rinnovo; col rispetto delle aree verdi rimaste, anche se ci impongono qualche minuto in più di percorso;con il rifiuto delle guerre per l’accaparramento delle materie prime necessarie al continuo aumento dei volumi di produzione.
Soprattutto possiamo esprimere la nostra volontà, cercare di partecipare alle scelte politiche e pretendere il rispetto di quell’articolo 41, che in poche parole contribuisce a indicare una via maestra.

Francesco Baicchi