Pubblichiamo i due interventi conclusivi della XX Edizione del progetto Il Calendario della Repubblica Il Dovere della Memoria

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Pubblichiamo i due interventi conclusivi
della XX Edizione del progetto

Il Calendario della Repubblica
Il Dovere della Memoria

"La nostra storia - Questioni di genere dalla Costituzione alla vita quotidiana - Principi, Cultura, Meccanismi Occupazionali, Sistemi Economici"


a cura  dell'associazione
Chieti nuova 3 febbraio
in collaborazione con l'associazione "UniTre - Chieti", le Scuole Superiori di Chieti Istituto Tecnico "Ferdinando Galiani - Romualdo de Sterlich", Liceo Scientifico " Filippo Masci", Istituto di Istruzione Superiore "Luigi di Savoia", Istituto di Istruzione Superiore "Umberto Pomilio”


1)  21maggio 2020, ore 10.00

Intervento di Roberto Leombroni - Questioni di genere - link  https://youtu.be/P0CGdNexn54

Una sia pur sintetica ricostruzione storica del tema della differenza di genere non può non partire dalla constatazione di un’evidente asimmetria. Quella tra un femminismo relativamente giovane (circa due secoli) e un anti-femminismo antico quanto il mondo. Senza andare troppo indietro nel tempo, basti ricordare che, più di due millenni or sono, colui che Dante Alighieri definirà “il maestro di color che sanno”, Aristotele, nel libro I della Politica,teorizzava la differenza biologica tra uomo e donna come il fondamento “naturale” della subalternità femminile, accostando la figura della donna a quelle dello schiavo e del ragazzo. Se il primo, infatti, “non possiede, in tutta la sua pienezza, la parte deliberatrice” dell’anima, e se il secondo“la possiede non sviluppata”, la donna “la possiede ma senza autorità”. Di conseguenza, solo l’uomo libero, maschio e cittadino della pòlis, può aspirare a quelle posizioni di potere e prestigio che gli consentono di porsi come guida di chi ne è escluso “per natura”.
Il paradigma antropologico aristotelico si è imposto per secoli,senza sostanziali modificazioni. Nei decenni a noi più vicini, inoltre, lo stereotipo del maschio dominante si è arricchito di nuovi attributi: “bianco”, “eterosessuale”, “sano di mente” (ossia in linea con il modello di ragione dominante). Con conseguente crescita della lista degli esclusi:gli appartenenti a qualsiasi altro “colore”, gli omosessuali, i “folli” (o “malati di mente”).
Bisognerà attendere la fine del XVIII secolo perché, per quanto concerne le donne, il suddetto paradigma cominci a conoscere sensibili incrinature. L’apparizione collettiva di movimenti femminili sulla scena politica ha luogo già con la Rivoluzione francese del 1789. La Costituzione da essa prodotta nel 1791, tuttavia, nega loro i diritti riconosciuti agli uomini, ivi compreso il diritto di voto. Di qui l’iniziativa di una coraggiosa attrice e autrice teatrale, Olympe de Gouges, che, nello stesso anno 1791, pubblica il testo di una Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, in evidente contrasto con il preambolo maschilista della Costituzione. L’effetto è quello del classico sasso nello stagno: tra il 1791 e il 1793 si costituiscono i primi club composti di sole donne. L’illustre rivoluzionaria finirà tuttavia ghigliottinata dai giacobini, nel 1793, con l’accusa, rivoltale da Le Moniteur Universel, di voler diventare “un uomo di Stato… dimenticando le virtù appropriate al suo sesso”.
Negli stessi anni,al di là della Manica, un’altra audace e anticonformista scrittrice inglese, Mary Wollstonecraft, condannata dall’etica puritana a causa dei suoi modi di vita “eterodossi”, di donna indipendente e non sposata, affronta il tema dell’emancipazione femminile, concentrandosi sul tema educativo. In particolare, la scrittrice pone l’esigenza di un’educazione paritaria, che sconfigga il modello pedagogico maschilista, che ha ridotto le donne al rango di fedeli e affettuosi “animali domestici”. Tale modello, a suo giudizio, gode purtroppo della complicità delle stesse donne che, vittime dell’educazione maschile, si rassegnano troppo facilmente allo stereotipo femminile, che le considera mere dispensatrici di “vezzi e frivolezze”. In altri termini, le donne, per conservare quel “piacere” che deriva dalla “supremazia della bellezza”, avrebbero “rinunciato ai diritti naturali che l’esercizio della ragione potrebbe procurare loro”. La rivoluzione dei costumi sociali non può dunque realizzarsi che attraverso quell’educazione integrale del corpo e della mente che illustri pedagogisti come Locke e Rousseau avevano riservato ai soli maschi.
La de Gouges e la Wollstonecraft, come si vede, segnano già le linee direttrici dei due percorsi che i movimenti femministi seguiranno dalla fine del Settecento in poi. Il primo, di ordine pratico-politico, è quello “dell’uguaglianza”,che conduce a perseguire obiettivi egualitari di carattere sociale ed economico, quali il diritto di accesso all’istruzione, alle professioni, alla proprietà, e il riconoscimento dei diritti di cittadinanza, a partire da quello di voto. I movimenti femministi che si collegano a questa linea di pensiero (“emancipazionismo”) non pongono ancora in discussione il modello di ragione dominante, così com’è stato definito dalla tradizione filosofica, e anzi lo utilizzano per combattere le ingiustizie e i pregiudizi subiti dagli esseri umani di sesso femminile. Tale filone prevarrà fino ai primi anni del XX secolo, quando, maturate le prime conquiste delle donne sul piano politico-economico, l’attenzione dei movimenti femministi si sposterà prevalentemente verso il secondo percorso, quello della “differenza”.Esso conduce a investire direttamente la riflessione teorica, indagando proprio “quel” modello di ragione,specchio di un ideale maschile e patriarcale, e l’“ordine simbolico” sul quale esso si basa,ossia tutti gli stereotipi e modelli culturali che hanno corroborato, nell’immaginario collettivo, la discriminazione nei confronti delle donne.. Tale posizione tende ad accentuare la rivendicazione della specificità femminile, rifiutando qualsiasi assimilazione all’uomo, e mira a rimettere radicalmente in discussione l’intera tradizione filosofica occidentale “androcentrica”, che da sempre ha assunto gli esseri umani di sesso maschile come prototipo, “misura” e “norma” dell’umanità, rispetto al quale il genere femminile viene considerato come diverso e “mancante”
I due percorsi sono talvolta destinati a incontrarsi. Già intorno alla metà dell’Ottocento, la convinzione dell’irriducibilità del femminile al maschile comincia a farsi strada anche nei movimenti “suffragisti”, particolarmente diffusi negli Stati Uniti. Proprio qui, nel 1848, vede la luce un altro storico documento che dichiara i diritti della donna: la Convenzione di Seneca Falls (località nello Stato di New York). Tra le affermazioni presenti in esso, ce n’è una, in particolare, che sostiene l’impossibilità, da parte degli uomini, di comprendere le donne e di esprimersi in loro nome. Essi, a causa della loro educazione, non sarebbero, infatti, “in grado di giudicare i pensieri, i sentimenti, le opinioni della donna”.
Intorno alla prima metà del XX secolo, l’insufficienza della conquista del diritto di voto,il più importante risultato conseguito dal movimento femminista, in  diversi Paesi (Gran Bretagna, Stati Uniti, Nuova Zelanda, Paesi scandinavi),ai fini di una vera liberazione delle donne e di un affrancamento dai ruoli tradizionali loro attribuiti, spiega il successo conseguito dal pensiero della “differenza”, all’interno del quale si muovono le due più grandi figure del pensiero femminista novecentesco, Virginia Woolf e Simone de Beauvoir.
Tenace sostenitrice della necessità di promuovere una cultura diversa, in grado di capovolgere i valori maschili, la Woolf indirizza la sua riflessione critica, in particolare, verso le guerre, intese come il più devastante prodotto dell’aggressività maschile. Di qui la creazione di un’associazione pacifista, la “Società delle Estranee”, il cui nome definisce esplicitamente l’“estraneità” delle donne rispetto agli ipocriti appelli alla solidarietà in nome della difesa della propria “Patria”: una “Patria” che, come afferma efficacemente la scrittrice in Le tre ghinee (1938), ha sempre,nel corso della storia, trattato le donne come schiave, negando loro l’istruzione e “qualunque partecipazione alle sue ricchezze”. Di qui la drastica conclusione della Woolf: “Io, in quanto donna, non ho patria. In quanto donna, la mia patria è il mondo intero”. È interessante ricordare che tale argomentazione sarà alla base, negli anni della guerra nel Vietnam, dell’obiezione di coscienza espressa da tanti giovani, in particolare afro-americani.
Un impulso decisivo alla ripresa del femminismo viene anche dalla riflessione di Simone de Beauvoir, autrice del Secondo sesso (1949), un saggio nel quale l’autrice sostiene che la subordinazione delle donne agli uomini è una mera costruzione sociale, che trae a pretesto la biologia: “Donna non si nasce, si diventa”. Contro questa costruzione sociale devono battersi movimenti collettivi di donne e uomini. Di qui la convinta partecipazione della scrittrice ai movimenti di contestazione del Sessantotto.
E proprio negli anni a ridosso della contestazione sessantottina, il movimento per i diritti delle donne acquista caratteri di massa, determinando anche una forte ripresa teorica delle problematiche femministe. Nel corso della protesta contro la guerra nel Vietnam e delle agitazioni studentesche, le militanti dei vari movimenti denunciano però il ruolo marginale attribuito generalmente alle donne al loro interno, un ruolo che le esclude da qualsiasi decisione, trasformandole, di fatto, da “angeli del focolare” ad “angeli del ciclostile”. Salvo rare eccezioni, infatti, lo stereotipo dominante della militante sessantottina è quello della “donna del leader” o della compagna che, durante le occupazioni,provvede al “vettovagliamento” o ai bisogni materiali e affettivi del maschio rivoluzionario.Di qui, per reazione, la nascita di un nuovo movimento politico femminile, nettamente separato da quello maschile,sia sul piano organizzativo,attraverso i “gruppi di autocoscienza”, sia su quello della riflessione teorica.
Opponendosi, in particolare, ai modelli maschili del successo sociale e professionale, il femminismo degli anni Settanta teorizza con forza la specificità della condizione femminile, la propria differenza nel corpo e nel pensiero.In tale situazione, anche termini come “genere” e “differenza” acquistano una loro specificità semantica, strettamente legata alla condizione femminile. Il primo, in particolare nel pensiero femminista anglosassone, tende a identificarsi con un concetto che contribuisce a demolire la presunta origine “naturale” dei diversi comportamenti maschili e femminili. Quanto al tema della “differenza”, il rifiuto di un sistema simbolico che contempla la coincidenza tra il “maschio” e il “soggetto” di cui tratta la tradizione filosofica,si innesta su un solido retroterra filosofico, fondato sulla graduale demolizione di un modello monolitico di ragione, avviata da pensatori, quali Jacques Derrida, Michel Foucault e altri, all’interno del quale fiorisce una nutrita elaborazione del pensiero femminista. Tale linea di pensiero si afferma, in particolare, con la filosofa e psicoanalista belga di origine francese, Luce Irigaray, tra le maggiori esponenti del pensiero della differenza sessuale, attraverso una serrata critica del linguaggio. Esso, infatti, con le sue stesse regole grammaticali, che prevedono l’uso del maschile per indicare un gruppo misto (“gli uomini”, “gli studenti”), avrebbe contribuito non poco a sancire il “primato” del genere maschile. Tale problematica sarà ripresa, in Italia, da Adriana Cavarero. A lei si deve l’affermazione che la donna, rappresentata da un “linguaggio non suo… si pensa in quanto pensata dall’altro”. Ne derivala necessità di una sorta di neo-lingua, in grado di esprimere e valorizzare, contrapponendosi al linguaggio tradizionale della società patriarcale, la differenza sessuale femminile.
Portando con forza alla ribalta il tema della “differenza”, il movimento femminista si allinea perfettamente con tutti gli altri movimenti che, tra gli anni Sessanta e gli Ottanta, contribuiscono a scalzare la “dittatura” del modello dominante di “Ragione”. Più o meno negli stessi anni, infatti, il mondo è scosso, in ordine di tempo, dai movimenti di liberazione del Terzo Mondo, da quelli dell’anti-psichiatria, volti all’eliminazione della crudele segregazione dei malati di mente, da quelli che rivendicano i diritti degli omosessuali, o quelli della natura e delle generazioni future.
In Italia, l’approfondimento filosofico dei suddetti temi acquisisce particolare spessore nella riflessione di Rosi Braidotti, autrice, nel 1995, di un saggio dal titolo particolarmente significativo, Soggetto nomade, in cui l’autrice lega strettamente il femminismo al tema filosofico, particolarmente discusso in quegli anni, della crisi del soggetto. Rifiutando una concezione monolitica di quest’ultimo, e del concetto stesso di “donna”, infatti, la pensatrice propone di ridefinirlo partendo dalle molteplici differenze che lo caratterizzano (sesso, appartenenza etnica, classe sociale, età, stile di vita, orientamento sessuale). Ne consegue una nuova caratterizzazione della soggettività contemporanea, efficacemente definita “nomade”. Si abbandona il modello eurocentrico, che, limitandosi alla contrapposizione uomo-donna, rischia di annullare tutte le altre, e si giunge a una definizione “plurale” della differenza, volta a spiegare non solo la diversità tra i sessi, ma anche quella tra una donna e l’altra o all’interno di ciascuna donna. Il concetto stesso di femminilità perde, dunque, la propria univocità, in nome di una concezione poliedrica e mobile dell’identità del soggetto.
Le tesi della Braidotti, come punto decisivo di approdo del pensiero femminista, si collocano perfettamente all’interno di una vera e propria rivoluzione in campo etico, che si manifesta nell’affermazione che l’identità non costituisca un dato raggiunto per sempre, bensì un concetto “liquido” che, secondo l’efficace definizione di Zygmunt Bauman, è “il traguardo di uno sforzo”. Come tutte le rivoluzioni della storia, anche quella femminista risulta “spiazzante” e “spaesante” per l’etica e il costume dominanti. La rivoluzione copernicana, nel Cinquecento, aveva scalzato la Terra, e l’uomo con essa, dal centro dell’universo. Quella darwiniana, a metà Ottocento,aveva dato il via a un ripensamento della concezione del mondo e dell'uomo, ricordando a quest’ultimo la sua “animalità”. La rivoluzione psicanalitica, all’inizio del XX secolo, aveva demolito le spocchiose certezze dell’Io consapevole, ponendolo a confronto con i condizionamenti e i misteri dell’inconscio.
Resta, tuttavia, un notevole divario tra le acquisizioni teoriche e la loro realizzazione pratica. Lo dimostrano i dati concernenti la presenza femminile nelle istituzioni politiche, nell’imprenditoria, nelle professioni, nei ruoli dirigenziali. Tra gli ostacoli che continuano a frapporsi a una piena realizzazione della donna, permane, in particolare, la tendenza dei media a proporre la sua riduzione a mero corpo, finalizzata all’eterno obiettivo di piacere all’uomo.
Ultima in ordine di tempo, la rivoluzione della ”differenza” ha avuto il merito di ricordarci che, al di là di ogni ingiustificato privilegio legato alla nascita, siamo tutti esseri umani, che si progettano quotidianamente nella propria soggettività, e che, dunque, hanno il diritto di rivendicare, per usare le parole delle prime pioniere del movimento femminista, “uguaglianza” (delle opportunità) e “differenza” (delle identità).

2)  22maggio 2020, ore 10.00

Intervento di Assunta Grazioso del collettivo " Tante da raccontare - Donne che ce la stanno mettendo tutta"

link https://www.youtube.com/watch?v=ouvIvv65pQk

Siamo partite nel marzo del 2019, avevamo in mente di celebrare la giornata della Donna, ma  senza toni trionfalistici, senza festeggiamenti, visto che in quei giorni si stava effettuando a livello nazionale il bilancio dei femminicidi del 2018. Ben 106 o forse 120, oltre ai casi di molestie, abusi, stupri. Tutte forme di violenza che nel loro numero esorbitante facevano e fanno percepire come intorno alle donne ci sia un clima di non benevolenza.
Prima ancora di chiederci il perché di questa evidenza, ci è sembrato prioritario ascoltare e apprezzare le donne nel racconto della loro quotidianità , così da  rafforzare la loro autostima e il rispetto di se stesse. Abbiamo perciò promosso un'iniziativa in tal senso.
Ci siamo presentate alla comunità cittadina con un nome, un logo, un appuntamento specifico.
Il nome: Tante da raccontare-donne che ce la stanno mettendo tutta
Il logo: le "visage de la paix" di Pablo Picasso, il viso di una donna che ha sulla testa la colomba, simbolo della pace
L'appuntamento: il 10 marzo 2019, alle ore 17.00, presso la Biblioteca comunale di Francavilla al Mare
Le testimonianze in dialogo, menzionate nella locandina sono state quelle di sette donne che hanno raccontato di sé, ognuna diversa dall'altra per età e per competenze, accumunate dal loro impegno quotidiano, se pure in campi diversi.
Il riscontro è stato molto positivo, anche grazie alla collaborazione con il Comune di Francavilla al Mare.
Da allora il gruppetto iniziale si è arricchito di presenze femminili e maschili. Insieme stiamo costruendo un percorso, rivolto a donne e uomini per il riconoscimento sociale delle donne, per contrastare pregiudizi e stereotipi di ogni genere, che tanto condizionano la crescita individuale.
Importante per noi, per non dire "illuminante" è stata la lettura di "La mia parola contro la sua-quando il pregiudizio è più importante del giudizio", scritto dalla giudice Paola Di Nicola.
In un incontro pubblico organizzato con l'autrice, il 1° giugno 2019, ci siamo maggiormente  rese/i conto che nell'oggi così tecnologicamente evoluto siamo ancora lontane/i dalla parità di genere auspicata e paradossalmente più vicina nel lontano '68, periodo di grandi conquiste per le donne. Attualmente persino  nelle aule dei Tribunali le donne vittime di violenza non trovano sempre giustizia, per il colpevole ci sono attenuanti, la vittima, invece, diventa sempre colpevole di avere in qualche modo provocato la violenza.
Facciamo un balzo all'indietro nel tempo per analizzare la condizione della donna nella società di poco più di cinquanta anni fa per poi operare un confronto con la situazione odierna.
Trasferiamoci nel 1965... accade un fatto di cronaca abbastanza usuale per quei tempi. Ne avrete sicuramente già sentito parlare , ma torno sull'argomento per l'importanza che riveste.  La protagonista sorprende l'opinione pubblica con una scelta mai effettuata fino ad allora, decide di praticare una strada nuova di cui essa stessa traccia il percorso. Rappresenta ancora un esempio per noi tutte e per noi tutti.
Franca Viola è una ragazza siciliana, fidanzata  con Filippo Melodia, poi lasciato perché il Melodia risulta essere un delinquente.  Il 26 dicembre del 1965 viene da lui rapita con 12 altri uomini, lei 17 anni,  viene tenuta segregata per 8 giorni e violentata più volte. Il Melodia si sente forte di un articolo del codice penale, il 544 che considera lo stupro un delitto contro la moralità  e non contro la persona, delitto che può essere estinto col cosiddetto matrimonio riparatore. Franca Viola e la sua famiglia rifiutano il matrimonio riparatore e il Melodia è processato, ma condannato solo a 11 anni perché le usanze sono ritenute un 'attenuante. La storia ha ispirato anche un film, "La moglie più bella".
Solo 16 anni dopo furono abrogati il matrimonio riparatore e il delitto d'onore, con la legge n 442 del 1981. Solo nel 1996  lo stupro e l'incesto furono considerati delitti non contro la morale ma contro la persona.
Tornando agli anni vicini al '68, ricordiamo che nel 1970 ci fu l'introduzione del divorzio, nel 1975 fu riformato il diritto di famiglia, garantendo la parità legale tra i coniugi con la possibilità della comunione dei beni. E' del 1978 l'introduzione dell'aborto.

Oggi quale è la situazione della donna? Abbiamo raggiunto la parità di diritti tra donne e uomini? Dal punto di vista giuridico, forse sì, ma in pratica, nella realtà effetti
A titolo esemplificativo nomino alcuni tra i molteplici ambiti in cui si riscontrano forme di pregiudizi e di discriminazioni tra donne e uomini.
1) nel linguaggio:
non ci sono parole per esprimere ruoli di potere occupati da donne, bisogna volgerli al femminile, ma per tanti e tante "suonano male" perciò viene utilizzata la forma maschile cambiando al massimo l'articolo. Mentre sono ben accetti i termini operaia e infermiera, magistrata e prefetta non lo sono altrettanto;
2) nel mondo del lavoro:
nei colloqui di lavoro per eventuali assunzioni si fanno alle donne domande sulla loro vita privata, vuoi diventare mamma,hai dei figli? nelle retribuzioni, a parità di incarico, le donne percepiscono meno dei colleghi;
3) nella famiglia:
la donna, anche se lavora, ha il compito della cura della casa, della famiglia, dei figli, l'uomo no. Se l'uomo collabora con la compagna viene tacciato dagli amici di essere un "mammo", quando è semplicemente un padre.
In conclusione, anche se da un punto di vista normativo le donne possono accedere a qualsiasi lavoro, in realtà trovano sulla strada dell'emancipazione ostacoli e  resistenze di ogni genere, a cominciare da consuetudini e pregiudizi, che possiamo definire vere e proprie "gabbie".
Noi del collettivo Tante da raccontare-donne che ce la stanno mettendo tutta,  consapevoli che il perseguire la parità di genere richiederà tempo e dedizione, convinti che il coinvolgimento personale è essenziale per perseguire obiettivi di tale rilevanza, siamo determinati  a rifiutare la  rassegnazione  espressa con la domanda  retorica,  ma che possiamo fare? , che pur sentiamo porre da amiche e amici.
Non aspettando che un deus ex machina scenda a risolvere i nostri problemi terreni, ci diamo da fare anche nelle piccole cose, che poi piccole non sono.
A riprova dell'importanza del darsi da fare consideriamo il successo ottenuto in merito all'aumento delle presenze di esperte nelle task forces, grazie alle tante petizioni sui social.
Gli intendimenti sopra descritti ci orientano e guidano nella scelta e  nella programmazione di iniziative che hanno per protagoniste le donne e il loro empowerment, atte a contrastare consuetudini profondamente radicate nel tessuto socio-culturale.
Per far questo teniamo molto al dialogo tra le generazioni e con le Istituzioni. Segnaliamo e caldeggiamo la partecipazione ad iniziative di gruppi e di associazioni che operano sul territorio con finalità analoghe alle nostre.
-il 20 ottobre scorso, con diverse associazioni di Francavilla abbiamo organizzato un flash mob nel piazzale Sirena per ricordare Aliona,  giovane vittima di femminicidio da parte di un corteggiatore respinto e per urlare insieme  "Stop alla violenza sulle donne".
-il primo dicembre 2019, alcuni degli uomini del collettivo  hanno organizzato l'incontro-dibattito Conversazioni al maschile, in cui hanno espresso il loro disorientamento   provocato  dal venir meno delle dinamiche relazionali di sempre, lo "spaesamento"davanti a donne non più sottomesse, ma consapevoli di sé e padrone della loro vita.
-Nel frattempo abbiamo rivolto la nostra attenzione ad un "problema" sollevato dalla lettura del libro della giudice Di Nicola o meglio Di Nicola Travaglini. Come spesso avviene diamo per scontato accettare passivamente e ripetere le pratiche di sempre, nello specifico che ogni bimbo venga registrato alla nascita col solo cognome del padre come  se i figli non avessero madri, solo padri.  Ci siamo informati sulla normativa vigente, scoprendo che grazie alla sentenza della Corte Costituzionale n. 286 del 21/12/2016,  i nuovi nati possono essere registrati oltre che con il solo cognome del padre anche con i cognomi del padre e della madre. Purtroppo tale nuova e corretta attribuzione è nota solo tra gli addetti ai lavori, non viene a conoscenza dei neogenitori.
Abbiamo svolto con successo  una raccolta firme, presentate al Sindaco e alla Giunta comunale per sollecitare la giusta pubblicizzazione  con manifesti e avvisi della normativa vigente, così da offrire ai genitori la possibilità di scelta e "sanare" una forma di discriminazione nei riguardi delle donne.
foto dell'articolo di giornale
-il 4 gennaio scorso abbiamo organizzato la conferenza-concerto La donna artista nelle età moderna e contemporanea. Lo storico dell'arte interpellato  ha trattato  delle numerose presenze femminili nel mondo dell'arte, presenze di  donne non come modelle o ispiratrici di uomini, ma  esse stesse artiste di valore.  Non abbiamo potuto fare a meno di chiederci come mai tali artiste non hanno trovato spazio nei testi di storia dell'arte?
Grazie agli incontri con donne e uomini in occasione delle iniziative svolte in precedenza, grazie al continuo dialogo tra di noi, alla lettura e all'approfondimento condivisi, abbiamo deciso che è ora di dare importanza  alle tante donne abruzzesi che nel corso dei secoli si sono distinte e di  farle conoscere ai concittadini attraverso  il progetto da noi denominato D.A.I. donne abruzzesi illustri , che, vista la connotazione di ricerca permanente sul territorio, si articola in fasi. Alla conclusione della prima fase di stesura di schede biografiche su ognuna, si accompagna la richiesta all'Amministrazione comunale di utilizzare tali nomi nella toponomastica cittadina.
Ci siamo accorte che i nomi di strade , piazze, giardini e luoghi urbani sono per la quasi totalità maschili, infatti la media nazionale della toponomastica al femminile è del 7%. Ciò vuol dire che su 100 strade solo 7 portano un nome femminile. A Francavilla ce n'è solo una, via Matilde Serao.
Rileviamo che l'assenza di intitolazione femminili dai luoghi pubblici purtroppo contribuisce a sancire l'esclusione delle donne dalla memoria collettiva.
Infine abbiamo organizzato un gruppo di lettura al femminile, nel senso che pur essendo ovviamente aperto  a uomini, considera libri scritti da donne o che abbiano donne come protagoniste o che riguardino le dinamiche relazionali uomo-donna. Siamo ancora nella fase di sperimentazione, nel senso che i nostri incontri, tra i soli componenti del collettivo per ora, avvengono sul web e non come avevamo preventivato, presso la Biblioteca comunale.
Dopo la lettura e la successiva discussione di "Il giudice delle donne" di Maria Rosa Cutrufelli e "L'animale che mi porto dentro"di Francesco Piccolo abbiamo programmato l'apertura al pubblico,  auspicando il coinvolgimento delle giovani donne e la socializzazione grazie alla Letteratura, Fase 2 permettendo...
Torniamo al clima di non benevolenza a cui ho accennato all'inizio. E' in tale clima che vengono giustificate le diverse forme di violenza sulle donne, dalle molestie, allo stupro, dal body shaming, al femminicidio.
Per noi di Tante da raccontare-donne che ce la stanno mettendo tutta ciò è inaccettabile, alla base di tutte le azioni interpersonali c'è il rispetto reciproco, le leggi devono mirare a portare l'equilibrio, così i comportamenti. Noi tutti, donne e uomini, costruiamo con le scelte e i comportamenti il clima culturale in cui vogliamo vivere. Ed è proprio attraverso il clima culturale che si realizza la prevenzione di tutte le forme di violenza.