Come riaprire i canali della democrazia tra Palazzo e Paese

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Come riaprire i canali della democrazia tra Palazzo e Paese

Riavvicinare la società alle istituzioni democratiche sembra essere un compito che non può essere eluso, tanto meno dai più critici. Le lotte sociali se non trovano sbocco entro le istituzioni democratiche finiscono per esaurirsi, generare frustrazione, ribellione, sdegno, e – infine – regressione

Il voto sul Ddl Zan – ha scritto su queste pagine Norma Rangeri – ha mostrato tutta l’arretratezza del nostro Parlamento rispetto alle spinte innovatrici provenienti dalla società. Penso sia vero, ma non ritengo ci si possa fermare a questo crudo giudizio. Almeno un altro paio di corollari disegnano il quadro.
In primo luogo, la società non può interpretarsi in termini unitari, assistiamo anzi alla sua progressiva divisione. Alle straordinarie manifestazioni in difesa dell’ambiente, dei diritti civili, del lavoro, si affiancano manifestazioni assai meno apprezzabili, in difesa degli interessi più retrivi. L’estendersi degli atti di violenza contro le persone fragili, la perdita del senso di solidarietà, il riapparire di ideologie votate all’odio non devono essere sottovalutate. La lotta per affermare entro la comunità, dentro le coscienze collettive e dei singoli, i valori di civiltà e di progresso è ancora lunga e ci impedisce di affidarci solo alla “nostra” parte di società.
In secondo luogo, l’osservazione della distanza ormai abissale tra il Parlamento e i bisogni che attraversano la società non può che essere intesa come un drammatico problema cui farsi carico. Purtroppo non possiamo fare a meno della rappresentanza politica ed istituzionale, poiché l’alternativa al parlamentarismo è l’autocrazia, che oggi è ben visibile.
Per questo la constatazione, vera ma drammatica, della pericolosa distanza tra il Palazzo e la Piazza ci impone di interrogarci su come salvare il Parlamento. Riavvicinare la società alle istituzioni democratiche sembra essere un compito che non può essere eluso, tanto meno dai più critici. Le lotte sociali se non trovano sbocco entro le istituzioni democratiche finiscono per esaurirsi, generare frustrazione, ribellione, sdegno, e – infine – regressione.
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Dobbiamo allora essere strabici, attrezzarci per una doppia battaglia: dentro la società per dare coscienza alle persone, dentro le istituzioni per riuscire a tradurre i “fatti” (sociali) in “norme” (politiche). Una prospettiva che deve superare alcune pur legittime ritrosie, ma che deve essere perseguita nella consapevolezza che non esistono scorciatoie. Non è facile convincere la società civile – neppure la migliore e più impegnata – che non si può abbandonare il campo istituzionale, nonostante i suoi ripetuti tradimenti (il Ddl Zan è solo uno dei tanti casi di aspettative disattese). Non è facile neppure convincere chi opera nelle istituzioni – neppure i migliori e più impegnati – che non si ha legittimazione a governare se non si dà ascolto alla nazione che si rappresenta.
Questo reciproco disconoscimento non è il frutto di semplice incomprensione, trova la sua ragione nell’indebolirsi dell’idea fondante il nostro Stato democratico dell’esercizio della sovranità popolare nelle forme e nei limiti della Costituzione. Una Costituzione che afferma la centralità del parlamento e il diritto di tutti i cittadini di associarsi per concorrere a determinare la politica nazionale.
Sono ben note le cause di tale progressivo scostamento: quelle sociali legate all’imporsi del neoliberismo come unica forma di sviluppo, che sottrae alle persone la possibilità di essere padrone del proprio futuro; quelle istituzionali legate all’imporsi della disintermediazione che non tanto ha fatto venir meno le forme politiche (i partiti anzi hanno aumentato il proprio potere entro le istituzioni), quanto ha inaridito i canali della rappresentanza (i partiti non riescono più a dirigere e organizzare gli interessi e i soggetti sociali). È così che la società è rimasta senza voce, privata della possibilità di farsi valere entro le istituzioni.
Al popolo, rappresentato nelle sue divisioni, si è sostituito il populismo, con la sua finta omogeneità. In fondo, la stessa svolta tecnocratica (il governo dei saggi) non rappresenta altro che una variante di questo processo di progressiva sterilizzazione della società.
Avremmo bisogno di ridare voce alla società, ai cittadini, alle persone concrete, ma dovremmo riuscire anche a far maturare entro il diviso corpo sociale una coscienza civile improntata ai valori della costituzione repubblicana. Ma per far questo avremmo bisogno di forze politiche ed intellettuali organizzate. Dove sono?

Gaetano Azzariti, il Manifesto, 5-XI-2021