E se fosse Verona a salvarci la pelle?

Attenzione: apre in una nuova finestra. PDFStampaEmail

E se fosse Verona a salvarci la pelle?

La città veneta era da molti anni una capitale delle destre peggiori, razziste, omofobe e tutto il repertorio. Invece poco tempo fa è diventato sindaco Damiano Tommasi, ex calciatore, cattolico, aperto alla società, antirazzista. Come è potuto accadere? E se la formula vincente di Verona fosse applicata anche alle elezioni di fine settembre, nelle quali, secondo ogni sondaggio e nella rassegnazione di centro, centrosinistra e sinistra (quel che ne resta), vinceranno Meloni, Salvini e Berlusconi (quel che ne resta, del leader di Forza Italia). Meloni presidente del consiglio, Salvini ministro degli interni, che incubo.
Ma che c'entra Verona? Quella è solo una città, le elezioni sono nazionali, uno scarto che il senso comune reputa invalicabile. Eppure la pessima legge elettorale in vigore, il cosiddetto Rosatellum, offre forse qualche spiraglio. In fondo, i parlamentari eletti saranno 600 (400 deputati e 200 senatori), il che significa che anche uno scarto di pochi seggi potrebbe rovesciare l'inevitabile, ossia, come giustamente teme Paolo Flores, il direttore di Micromega, i numeri con cui la destra potrebbe fare quel che vuole della Costituzione (non so: "L'Italia è una repubblica fondata sull'evasione fiscale", oppure un nuovo articolo: "L'Italia non riconosce i migranti come esseri umani").
A Verona, quel che è accaduto, se ho capito bene (si deve sempre dubitare), è che i partiti, il Pd in particolare, hanno accettato la candidatura di Tommasi, che non ha mai fatto un comizio insieme a Enrico Letta, per dire, ma ha spinto perché si creasse un bel gruppo di giovani, vogliosi di cambiare la città, partecipanti ad ogni genere di associazioni e gruppi della società civile (incluso il movimento dei veronesi di pelle scura, italiani di seconda generazione, una dei quali era capolista di una lista associata a Tommasi), che hanno fatto, tra molte altre cose, quel che Emiliano si era inventato a Bari anni fa: l'"onda". Andavano in gruppo, maglietta gialla e nome del candidato sopra, nei quartieri periferici, feudi fino ad allora della destra, per parlare con le persone, suonare ai campanelli circolare tra i mercati. Risultato: Tommasi ha vinto soprattutto grazie a quei quartieri (qualcosa di simile accadde, anni fa, a Milano, nella campagna con cui Pisapia sconfisse la signora Moratti). Perché la gente, a guardarla da vicino, è meno fosca di come sembra, quando è abbandonata alla retorica furibonda di una Meloni. I migranti, per dirne una, sono gente come noi, i loro figli ci tengono aperte le scuole, lavorano ovunque, ecc. E Tommasi è riuscito a fare quel che faceva quando giocava nella Roma di Totti, rompere il gioco dell'avversario e ripartire, una vita da mediano (citazione colta, è la canzone che Ligabue ha dedicato a Piper Oriali, che giocava nell'Inter).
Dunque la domanda è: quanti ragazzi con la maglietta gialla, ossia quante associazioni di ogni genere della società civile esistono, città per città? E quanti Tommasi?
Voglio dire: poniamo che in un numero sufficiente di collegi uninominali, sulla base di organizzazioni e temi locali (ma con lo sguardo ampio, quasi sempre le questioni locali sono effetto di quelle nazionali) si presentino candidati credibili, colti, che abbiano il vincolo di riferire alle loro comunità quel che farebbero in parlamento, quindi persone non scelte a caso (come è accaduto con i 5 Stelle), ma note per il loro impegno e competenza in questa o quella causa, e per la loro lealtà.
E i partiti? Il Pd ha già fatto vedere che è disposto, qui e là, a farsi da parte, tanto c'è la quota proporzionale, nella legge, riservata alle liste nazionali. I partitini di sinistra, che puntano al 3 per cento o giù di lì (e la considererebbero una vittoria), potrebbero a loro volta appoggiare questi candidati alla Tommasi, presentando a latere le loro liste di partito: cos'hanno da perdere? Più complicato il "centro", che non solo è un pollaio popolato solo di galli, ma adotterebbe il programma di Draghi come proprio, con il risultato di un litigio infinito su chi si candida dove e proposte che non piacciono proprio a una società civile attiva.
E' un'idea idiota? Forse. Ma romperebbe il muro tra il basso, la società attiva, e l'alto, la politica nazionale, che, come scrive su La Stampa Concita De Gregorio, è fatta della peggiore classe politica della storia repubblicana. E non c'è ragione di credere che queste elezioni miglioreranno la qualità del parlamento. Mentre un gruppo di anche solo venti deputati sociali, vincolati ai loro luoghi e senza alcuna "lista civica nazionale", un altro partitino, cambierebbe gli equilibri e farebbe da terminale per le istanze civili, civiche, ambientali e così via (e i No Tav della Val di Susa, dopo aver votato massicciamente negli anni i partiti che poi li hanno puntualmente traditi, potrebbero questa volta, per esempio, eleggere uno dei loro, perché no?).
Ormai quasi il cinquanta per cento degli elettori non va al seggio. Un serbatoio gigantesco in cui pescare. E magari, come è accaduto a Verona, un po' di quelli che votano i razzisti, i quasi-fascisti e altre schifezze potrebbero, in un dialogo ravvicinato, cambiare idea. Chissà.

Pierluigi Sullo, facebook