Contro lo spettro della schiavitù

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Contro lo spettro della schiavitù

C'è vita a sinistra. Il lavoro ridotto a servitù è una costante del nostro tempo. Una sinistra degna di questo nome deve ripartire da qui. E, come dice il laburista Corbyn, pianificare di nuovo un’economia pubblica

L’esplorazione su «C’è vita a sini­stra» non può essere da me svolta, dopo 45 anni di atti­vità giu­di­zia­ria, senza sof­fer­marmi sulla morte di due immi­grati e di una cit­ta­dina ita­liana, avve­nute que­sta estate nelle cam­pa­gne del Meri­dione, e spe­ci­fi­ca­mente sulla pre­senza, al di là di Paola Cle­mente, di altri cit­ta­dini ita­liani tra i lavo­ra­tori che pos­sono risul­tare vit­time del reato, pre­vi­sto dall’art. 600 c.p., di ridu­zione in servitù.

Seguendo le sen­tenza della Cas­sa­zione, que­sti nostri con­na­zio­nali, al pari di altri lavo­ra­tori stra­nieri, si tro­va­vano in uno stato di sog­ge­zione con­ti­nua­tiva ed erano costretti, come ser­vitù della gleba, a pre­sta­zioni lavo­ra­tive che ne com­por­ta­vano lo sfrut­ta­mento. Ciò con­ferma le mie pes­si­mi­sti­che pre­vi­sioni, espresse su il mani­fe­sto nel marzo scorso: l’attuale situa­zione eco­no­mica e l’ambizione padro­nale – sod­di­sfatta dal governo con le dispo­si­zioni del Jobs Act — di limi­tare la libertà della forza lavoro danno corpo al con­creto peri­colo che l’ipotesi della ridu­zione o man­te­ni­mento in ser­vitù, cioè dell’incontrollabile sfrut­ta­mento, non ha più i con­no­tati di ano­mala tra­sgres­sione mar­gi­nal­mente limi­tata a set­tori geo­gra­fici, etnici, ma è diven­tata una risorsa , pro­messa e con­cessa dalle forze di governo agli impren­di­tori come con­tro­par­tita della ces­sa­zione dello scio­pero degli inve­sti­menti e del rien­tro di quelli impie­gati negli stati a lavoro ser­vile garantito.

Riba­di­sco che, nono­stante l’impegno delle avan­guar­die sin­da­cali, ci avvi­ci­niamo sem­pre di più al mer­cato del lavoro popo­lato, in tutti i set­tori, da pre­sta­tori d’opera a forte limi­ta­zione di libertà di auto­de­ter­mi­na­zione, non più sepa­rati dalla disu­gua­glianza tra autoc­toni e immi­grati, ma acco­mu­nati dalla nuova cul­tura dell’uguaglianza nel lavoro servile.

È evi­dente che il diritto penale da solo non costi­tui­sce una valida difesa per la libertà e la dignità dei lavo­ra­tori dipen­denti e per il rispetto effet­tivo dell’art. 36 della Costi­tu­zione, che fissa la retri­bu­zione nella misura che assi­curi al lavo­ra­tore «una esi­stenza libera e digni­tosa». Un con­creto peri­colo di abro­ga­zione riguarda non solo que­sto prin­ci­pio ma anche il ful­cro del sistema isti­tu­zio­nale ita­liano, costi­tuito dal com­bi­nato dispo­sto degli arti­coli 1, 4 e 41 della Costituzione.

Obbe­dendo all’esigenza di alfa­be­tiz­za­zione dei com­po­nenti dei par­titi di sini­stra , è bene ricor­dare che l’articolo 1 pone il lavoro come prin­ci­pio base della nostra forma di Stato, in cor­re­la­zione con l’articolo 4 che rico­no­sce a tutti i cit­ta­dini il diritto al lavoro e impe­gna la Repub­blica a pro­muo­vere le con­di­zioni che ren­dano effet­tivo que­sto diritto. L’esigenza di con­tem­pe­rare gli inte­ressi incen­trati sulla libera ini­zia­tiva eco­no­mica e sulla pro­prietà pri­vata con le riven­di­ca­zioni egua­li­ta­rie sul piano dei diritti fon­da­men­tali e del benes­sere eco­no­mico portò ad appro­dare alla costi­tu­zione eco­no­mica, all’economia mista in cui si limita l’individualismo libe­rale e si dà spa­zio al prin­ci­pio di soli­da­rietà che, ante­po­nendo l’interesse col­let­tivo a quello dei sin­goli, intro­duce una con­ce­zione sostan­zia­li­stica della ugua­glianza. Di qui la pre­vi­sione di uno «Stato impren­di­tore», la costi­tu­zione di imprese pub­bli­che, tito­lari di beni e ser­vizi essen­ziali, all’interno di una pia­ni­fi­ca­zione demo­cra­tica, cioè di un piano di coor­di­na­mento delle ini­zia­tive impren­di­to­riali pub­bli­che e pri­vate, fun­zio­nali non all’esigenza di rea­liz­zare il mas­simo pro­fitto ma al con­se­gui­mento degli obiet­tivi dello Stato sociale (art. 41 Cost).

Sap­piamo bene che il ten­ta­tivo di pia­ni­fi­ca­zione demo­cra­tica è stato osteg­giato in maniera anche ille­cita dai ceti impren­di­to­riali e agrari, coa­diu­vati dai ver­tici isti­tu­zio­nali; sap­piamo bene che la pia­ni­fi­ca­zione è rima­sta fun­zione esclu­siva della Con­fin­du­stria: dalle 189 pagine della «Rela­zione sull’attività con­fe­de­rale» del 2014 emerge che le scelte dei governi Monti, Letta Renzi, cor­ri­spon­dono agli obiet­tivi isti­tu­zio­nali, finan­ziari e pro­dut­tivi «pia­ni­fi­cati» in pre­ce­denza dagli industriali.

Se a sini­stra si con­corda sulla sem­plice con­sta­ta­zione che per una demo­cra­zia effet­tiva, la demo­cra­zia poli­tica si riduce a mera fac­ciata se non è accom­pa­gnata dalla limi­ta­zione dei cen­tri di potere eco­no­mico troppo forti e pre­va­ri­canti, pro­tetti dalle ingo­ver­na­bili regole del mer­cato , si dovrebbe anche con­cor­dare su un dop­pio bina­rio di ini­zia­tive politiche.

Ad esem­pio, l’impegno per tute­lare il bica­me­ra­li­smo per­fetto deve essere accom­pa­gnato da un pari impe­gno per la difesa della demo­cra­zia , cioè del pub­blico potere nel campo della pro­du­zione e della finanza. Inol­tre, la cam­pa­gna — diretta dalla Con­fin­du­stria e sup­por­tata dal governo — in favore di una incon­trol­lata espan­sione dell’interesse dei mono­poli pri­vati nel campo della sanità e dei tra­sporti, deve essere con­tra­stata con lo stu­dio e con la dif­fu­sione dell’esito della ripri­va­tiz­za­zione dell’energia elet­trica (favo­rita dal governo D’Alema, che con decreto legi­sla­tivo 16.3.1999-decreto Ber­sani– libe­ra­lizzò il mer­cato elet­trico), con lo stu­dio e la dif­fu­sione dell’esito della fune­sta pri­va­tiz­za­zione della side­rur­gia, dell’esito delle pri­va­tiz­za­zioni nel campo tele­fo­nico, dei tra­sporti, delle assi­cu­ra­zioni, dei beni e dei servizi.

La cam­pa­gna di deni­gra­zione verso i buro­cra­tici con­trolli dello Stato, indi­cati come osta­coli e disin­cen­tivi alla libera espan­sione delle ita­li­che capa­cità impren­di­to­riali, deve essere con­tra­stata con lo stu­dio e la dif­fu­sione dei dati, rela­tivi alle sin­gole grandi imprese, su finan­zia­menti, eso­neri fiscali, con­ten­ziosi, indul­genze, cle­menze e simili.

In con­clu­sione, il labu­ri­sta Cor­byn ha pro­po­sto la rein­tro­du­zione, in alcuni casi spe­ci­fici, della clau­sola 4 del suo par­tito, che pre­vede l’impegno in favore della pro­prietà pub­blica in tutti i set­tori stra­te­gici dell’industria e dei trasporti.

Sono sicuro che in Ita­lia c’è un Cor­byn tri­co­lore, un «com­pa­gno» che, invece di arzi­go­go­lare sui mes­saggi e sui mes­sag­gini di Renzi, orga­nizzi e par­te­cipi a un piano di studi, all’esito del quale — esa­mi­nati la sto­ria dell’economia, della poli­tica e della cri­mi­na­lità eco­no­mica, non­ché le opere della Maz­zuc­cato e del Piketty– si pro­ponga il ripri­stino dell’economia mista, come voluta dai padri della Costi­tu­zione, in con­tro­ten­denza rispetto alla sua pro­gres­siva abro­ga­zione voluta da tutti i governi, con­giun­ta­mente impe­gnati a por­tare l’economia sulla via del ritorno all’esclusiva gestione dei deten­tori del capi­tale pri­vato, asso­lu­ta­mente imme­ri­te­voli di tanta fiducia.

Antonio Bevere, Il Manifesto, 4-IX-2015