Il partigiano Trieste Del Grosso

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Il partigiano Trieste Del Grosso

Trieste Del Grosso è nato a Chieti il 15 ottobre 1915 dal padre Cesare, che aveva una segheria alla Civitella, e da Lucia Miscia, casalinga. Era il primo di sei fratelli, tutti deceduti tranne il più piccolo, di nome Ugo. I genitori gli diedero il nome della città di Trieste perchè quando nacque, l’Italia stava partecipando, dal 24 maggio, alla prima guerra mondiale, considerata la IV guerra d’indipendenza, per liberare le terre irredente (il Trentino Alto Adige, l’Istria e Trieste). La scelta del nome rivela chiaramente l’amore dei genitori per l’Italia, il loro forte sentimento patriottico.

Nel dopoguerra anche a Chieti nasce il fascismo. I genitori manifestano sentimenti antifascisti. Il padre Cesare, nel maggio del 1925, è arrestato perché sorpreso dalla polizia a lanciare da un’auto, insieme con alcuni amici, dei manifestini contenenti parole di condanna del fascismo per l’abolizione della festa del primo maggio e per l’uccisione di Matteotti. La madre, quando i fascisti transitavano in corteo sotto la sua casa, sbatteva tappeti rossi facendo cadere la polvere sulle loro teste.

Al tempo della marcia su Roma,Trieste ha appena compiuto 7 anni e frequenta le scuole elementari Nolli. Riceve una rigorosa educazione fascista: è balilla dagli 11 ai 14 anni, avanguardista dai 14 ai 18. Ogni sabato partecipa alle esercitazioni per l’addestramento alla vita militare. Dopo essersi diplomato al Liceo Scientifico di Chieti, avendo manifestato un’inclinazione e una passione per la scultura e l’architettura, i genitori gli permettono di frequentare a Roma l’Accademia di Belle Arti. Nel 1936, a 21 anni, realizza le prime opere di scultura. Mi limito a citarne una. Siamo nel 1936: Trieste accetta l’incarico della federazione fascista di celebrare la nascita, il 9 maggio, dell’impero dell’Africa Orientale italiana scolpendo il busto di Giovanni Chiarini, il grande esploratore dell’Africa equatoriale dal 1876 al 1884, nato a Chieti e morto in Africa all’età di 30 anni.

Nella seconda guerra mondiale Trieste partecipa alla campagna di Grecia, come capitano di artiglieria, nel 13° Reggimento Fanteria “Pinerolo”. Il colonnello Aldo Venier, comandante del Reggimento, il 23 giugno 1943 invia al federale di Chieti, Orlando Olivieri, la seguente segnalazione sul capitano: Particolarmente si è distinto durante le azioni di rastrellamento effettuate da questo Reggimento contro bande di ribelli in territorio di occupazione. I ribelli erano partigiani greci che combattevano contro gli occupanti fascisti per liberare la loro patria. In una delle suddette azioni di rastrellamento, prima dell’8 settembre, Trieste rimane ferito a un fianco, rientra in Italia ed è ricoverato nell’ospedale militare di Chieti.

Dopo la firma dell’armistizio, la città entra in fibrillazione: il 9 settembre per la fuga del re, che transita a Chieti Scalo e si imbarca a Ortona dirigendosi verso il Sud; il 10 per lo scioglimento, a Palazzo de' Mayo, dello Stato Maggiore dell’esercito, seguito dall’apertura delle caserme e dallo scioglimento della Divisione Legnano, che ha protetto la fuga del re ed era di stanza al Tricalle; il 9 per le febbrili riunioni di elementi militari e civili per formare la Banda Palombaro, con l’intento di combattere contro i fascisti e soprattutto contro i tedeschi, che stanno per sopraggiungere e occupare gran parte della provincia, installando il fronte sulla linea Gustav.

Trieste non può partecipare a queste riunioni, ma è informato dai fratelli Bruno, Mimmo e Fernando, entrati nella banda: sul trasferimento dei partigiani a Palombaro; sul violento scontro coi tedeschi, il 5 ottobre e sulla morte di tre combattenti; sulla fucilazione, l’8 novembre, di 4 partigiani appartenenti al gruppo operante nella zona di Santa Barbara. Durante il ricovero in ospedale riflette sulla guerra, sul fascismo, sul che fare. Prima dell’8 settembre egli era un coraggioso capitano di artiglieria dell’esercito fascista, impegnato, in un territorio invaso, nella “diuturna guerriglia” contro partigiani che combattevano per la libertà della propria patria. Egli aveva della Resistenza l’immagine negativa, propagandata dal fascismo: i partigiani erano ribelli, banditi, che andavano combattuti perché mettevano a repentaglio la vita sua e dei commilitoni e ostacolavano la politica espansionista del regime. Gli avvenimenti seguiti all’8 settembre - la rovina dell’Italia, il crollo del regio esercito, l’eccidio dei soldati della Divisione Acqui a Cefalonia, la vicenda dei militari catturati e deportati nei lager nazisti, l’occupazione tedesca di gran parte del territorio nazionale, la morte coraggiosa di combattenti amici d’infanzia - determinano in lui una crisi profonda. Dopo un tormentato esame di coscienza, decide di farsi ribelle, bandito, entrando nella Banda Palombaro, per combattere i nazifascisti e liberare la patria. È un percorso esemplare quello compiuto dal giovane Trieste nella conversione dal fascismo alla Resistenza, seguito da molti militari sorpresi in terra straniera dagli eventi seguiti all’armistizio.

Il 30 ottobre è chiamato a far parte del comando militare del CLN, che si costituisce a Chieti, e gli viene affidato il compito di costituire apposite squadre per salvaguardare gli impianti della città (l’acquedotto, gli ospedali, la centrale elettrica, ecc.) Il 3 dicembre interviene a una riunione con altri 12 partigiani, in una casa presso la chiesa del Sacro Cuore, per incontrare due presunti ufficiali inglesi, preparare azioni di guerriglia e scrivere il testo di un manifesto per annunciare alla popolazione la liberazione della città da parte degli alleati, che stanno per liberare Lanciano e il cui arrivo è ritenuto imminente. Ma l’incontro è un tranello, ordito da un tenente repubblichino infiltrato nella banda e da Pietro Caruso, il futuro questore di Roma e collaboratore di Priebke e Kappler nell’eccidio delle Fosse Ardeatine. È giunto a Chieti alla fine di ottobre a capo di un battaglione repubblichino. Protetto dai tedeschi, ha assunto la guida della repressione del movimento antifascista e terrorizza la città compiendo rapine a mano armata nelle banche, nelle oreficerie, nei negozi. L’incontro dei due ufficiali tedeschi travestiti da inglesi coi 13 cospiratori è immediatamente seguito dall’irruzione di repubblichini armati ed SS, che intimano loro “mani in alto!”. Eseguendo l’ordine, Trieste sente una fitta al fianco ferito e abbassa istintivamente il braccio per proteggerlo. Le SS pensano che voglia prendere la pistola o tenti di fuggire, lo fulminano con una raffica di mitra e lo lasciano sanguinante sul pavimento, trasportando gli altri 12 a Bussi, ove sono processati e il 14 dicembre 10 di loro fucilati. I genitori e la moglie accorrono sul posto e, nel disperato tentativo di salvarlo, lo trasportano agonizzante in ospedale, ma il coraggioso partigiano spira durante il percorso. Lascia tre figli in tenera età.

Dopo la liberazione della città, il 16 settembre 1944, la famiglia riceve la seguente lettera firmata dal colonnello Aldo Venier, già comandante del 13° Reggimento Fanteria “Pinerolo”:

Ho appreso solo oggi e per caso la tremenda sciagura che Vi ha colpiti il 3 dicembre dell’infausto e tragico 1943. Sono allibito, profondamente e paternamente commosso. Trieste Del Grosso era il migliore mio ufficiale. Come Suo amico e Suo Comandante di Reggimento ho pianto con voi. Egli era profondamente buono, generoso, leale, ardito. Lo amavo come un figlio. Con Lui ho vissuto nella lontana e movimentata Macedonia periodi militarmente intensi e politicamente difficili. Era il mio aiutante tattico, in tutte le operazioni della diuturna guerriglia; il mio compagno ed amico nelle ore di malinconica nostalgia per la Patria e le famiglie lontane; il mio valente architetto militare che ha compiuto lavori di grande importanza con una prontezza ed una perfezione che meravigliavano: geniale, inventivo, Egli trovava modo di supplire alla costante manchevolezza dei mezzi.

Nei nove mesi tragici della dominazione nazifascista ho spesso rivolto il pensiero a Lui immaginandolo con i patrioti; ne ero certo ben conoscendo la sua nobile figura di soldato, di italiano, la giovanile baldanza e fierezza che lo distinguevano fra gli altri.

Ed è perciò che sono associato nel dolore di Voi – padre, madre, sposa e figli – che conosco solo attraverso i discorsi che il caro Trieste giornalmente vi dedicava nella lontana terra di Grecia. Il Capitano di artiglieria Del Grosso arcifante tra i fanti miei nel 13. Reggimento Fanteria “Pinerolo”, rimarrà scolpito nella mia mente e nel mio cuore di comandante, di fratello, di amico. Quale Suo ultimo comandante di Reggimento Vi invio, a nome anche degli ufficiali e fanti del 13., che penso a me uniti in questo dolore, le mie più sentite condoglianze.

Oggi Trieste Del Grosso, partigiano e scultore, riposa nel cimitero di San Silvestro, accanto alle tombe di altri artisti. Filippo Paziente