Relazione del magistrato Giuseppe Falasca alla presentazione del libro di Paola Di Nicola

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Relazione del magistrato Giuseppe Falasca

alla presentazione del libro di Paola Di Nicola

Chieti, 16 dicembre 2018


Di solito un saggio parla all’intelletto, alla parte più razionale della nostra mente.
Per la prima volta - invece -un saggio, questo saggio, mi ha coinvolto nel profondo della mia coscienza, mi ha posto non solo domande ed offerto risposte  ma mi ha anche agitato costringendo ad interrogarmi se la mia relazione nella vita e nel lavoro con le donne, se il mio pensiero sulle donne, non fosse  in qualche modo  deformato dal pregiudizio.
Se questo è accaduto, se ho avuto questo stimolo alla riflessione, lo devo certamente alla passione, all’onestà intellettuale dell’autrice, a volte prossima all’intransigenza (doti che traspaiono appieno dalla sua scrittura), la quale non ha esitato a rivisitare in chiave censoria anche le proprie convinzioni, il proprio linguaggio usato nelle sentenze da lei redatte. Non solo un j’accuse–dunque - ma anche un’autocritica.
È di tutta evidenza che la speciale sensibilità dimostrata, oltre ad essere dote naturale, è stata affinata, direi nutrita, dall’applicazione diuturna sulle vicende umane capitate sul tavolo di lavoro di Paola Di Nicola. Ciò è segno della particolarità del lavoro del magistrato, ma non di tutti i magistrati, ovviamente.
Intendo del magistrato vero, non quello voltoesclusivamente alla mera definizione dei procedimenti in base alle “coordinate” della dottrina e della giurisprudenza consolidate: mi riferisco al giudice o alla giudice che al di là degli atti e i documenti vuole vedere e  percepire le persone e i loro drammi,  ed è consapevole che dalla sua decisione spesso dipendono aspettative esistenziali.
Da qui l’interrogarsi con passione sul pregiudizio e sulle parole che riguardano le donne: l’analisi che ne scaturisce coglie aspetti epistemologici non trascurabili sul modo in cui i magistrati ma anche le persone comuni si “fanno un’idea dei fatti”relativi alle violenze di genere. Analisi che per acutezza pone questioni le quali affondano le radici nel nucleo della ricerca della verità o del verosimile.
Karl Raimund Popper ricordava come il termine pre -judge secondo l’Oxford English Dictionary,fosse  proprio della terminologia legale e fosse stato introdotto da Francis Bacon nell’accezione di “dare anticipatamente un giudizio negativo in violazione del dovere del giudice”. Ebbene è proprio questo il fulcro della questione messa in evidenza da Paola Di Nicola: il filosofo tedesco HansGeorg Gadamer, pure citato dall’autrice, spiegava che nella ricostruzione di un evento passato (la scena di un crimine, un evento di cronaca  o una vicenda storica) necessariamente l’investigatore, il giudice, lo storico e – inevitabilmente  -  la persona comune,muovono l’indagine  da una pre – compresione, cioè da un’idea precostituita, di come i fatti possano essersi svolti, una rappresentazione iniziale di come i fatti possono essersi svolti influenzata  dall’appartenenza  dell’interprete ad un preciso contesto. Ma da quest’ipotesi data l’interprete, l’investigatore, lo storico muovono ciascuno  i passi della propria indagine acquisendo nuovi tasselli utili alla ricostruzione dell’accaduto disposti a rivedere e sostituire  l’idea iniziale.
Il pregiudizio non ammette falsificazioni, non ammette rivisitazioni perché è spesso strutturato nel nostro modo di vedere le cose: è piuttosto -come osserva Paola  Di Nicola - la pietra angolare intorno alla quale siamo portati a tagliare la ricostruzione dei fatti.Paolo Flores D’Arcais, proprio in un articolo dedicato al movimento #metoo, comparso sul fascicolo 6/2018 della rivista Micromega, in tema  di pregiudizio poneva l’accento sulla“vasta letteratura neurobiologica che spiega come ognuno di noi rimodelli i propri ricordi con un sé mutato nella percezione e nei ricordi
Ma, allora c’è salvezza da un tale meccanismo irrazionale? Il pregiudizio è ineluttabile, se finanche le parole, come in un incubo da “bis pensiero” Orwelliano c’impediscono di pensare diversamente, così come ci ha illustrato l’autrice di “La mia Parola contro la sua”?
Ebbene è proprio la passione di Paola Di Nicola che ci indica la via almeno per intraprendere  il cammino di presa di coscienza: il suo suggerimento di sforzarci ad   ascoltare le voci delle donne, vittime di violenza di genere, acuendo tutti i nostri sensi,  senza cercare facili scorciatoie, scorgendo e superando ogni stereotipo in modo da percepire il dolore che traspare dalle loro vicende e che le rende reali. Forse solo così la sola parola della vittima, ci dirà molto più di quanto non siamo disposti ad ascoltare.