Mose. C’è ancora un’alternativa

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Mose. C’è ancora un’alternativa

Associazione Ambiente Venezia
Ytali

Vale la pena voler ultimare un’opera che si sa già che non raggiungerà gli obiettivi per cui è stata concepita? E che comporterà ingenti oneri di manutenzione e gestione nei prossimi cent'anni?

Il CHE FARE di fronte a una grande opera sbagliata e costosa qual è il Mose che si rivelerà a breve anche inutile per l’aumento del livello del mare che i cambiamenti climatici già prevedono per il prossimo futuro
Oggi il Mose appare contrassegnato dallo scandalo che l’ha coinvolto, da quella realtà fatta di corruzioni, tangenti, rapporti tra controllori e controllati, fondi neri che la magistratura è riuscita a far emergere.
Un impressionante sistema di potere malavitoso e criminale che coinvolge politici, amministratori, imprese, magistrato alle acque, ministeri, guardia di finanza, corte dei conti.
La meritevole azione collegiale degli organi preposti al ripristino della legalità che tanta attenzione mediatica sta provocando rischia però di relegare in secondo piano la sostanza del sistema che interessa il Mose. Si sta assistendo a un atteggiamento diffuso di non voler sapere, di non approfondire, dimenticare o volutamente ignorare cos’è e cos’è stato tecnicamente il Mose nel suo divenire. Ed è sulla base di questa per alcuni versi morbosa attenzione verso l’operato della magistratura che rimane sullo sfondo o addirittura scompare la contrarietà motivata a questa opera, alla sua natura, alla sua struttura, alla sua funzionalità; sembra quasi che un destino ineludibile debba far portare a compimento questa opera datata così com’è stata voluta dai progettisti e da coloro che l’hanno approvata.
Tutto procede senza ripensamenti: il rigore scientifico, il “cogito ergo sum”, l’eustatismo incipiente che cancellerà definitivamente quest’opera non “rientrano” nello stato di avanzamento dei lavori.
Così sulla questione del Mose si continua a ignorare o fraintendere quanti interventi possibili e alternativi alle bocche si potrebbero realizzare fin da subito evitando così il perseverare di azioni il cui effetto peggiorerebbe i vari livelli di criticità dell’opera con ricadute negative sull’equilibrio lagunare, sulla portualità e sui bilanci pubblici.
Nell’ambito degli interventi per la difesa di Venezia dalle acque alte, va applicata una linea di azione (costruita sulla base di una modellistica matematica – modelli bidimensionali a fondo fisso e mobile – applicata all’idrodinamica e alla morfodinamica lagunare il cui riferimento scientifico rimane la scuola idraulica padovana –dipartimento di ingegneria idraulica,marittima,ambientale e geotecnica) che dimostra:
1 che si può operare alle bocche di porto con la riduzione parziale delle sezioni attraverso il rialzo dei fondali e l’inserimento di opere di restringimento trasversali sia fisse che removibili stagionalmente in modo da aumentare le resistenze al flusso delle correnti di marea con una significativa riduzione dei livelli marini in laguna rispetto al mare;
2 che si può ottenere con una riduzione permanente degli attuali scambi mare-laguna un migliore regime idraulico della laguna permettendo fra l’altro di contrastare la perdita sistematica di sedimenti attraverso le bocche, ultimo anello dei drammatici processi erosivi in atto che stanno devastando la morfologia lagunare;
3 che va separata la logica degli interventi delle acque medio-alte da quelle necessarie per la difesa dalle acque alte eccezionali;
4 che va ridotta la penalizzazione della portualità veneziana attraverso la differenziazione delle funzioni portuali delle tre bocche, con la chiusura parziale dei varchi mobili per le acque medio-alte e con la chiusura totale per le sole acque alte eccezionali;
5 che si può così impiegare il tempo necessario per perfezionare e sviluppare i metodi di difesa più idonei, anche a più vasta scala territoriale, conseguenti ai cambiamenti climatici prevedibili (interventi di iniezioni di fluidi su strati geologici profondi volti al sollevamento antropico).
L’inserimento di opere removibili stagionalmente ha il vantaggio di permettere di operare sulle bocche di porto con due diversi gradi di restringimento: meno spinto nel periodo estivo, quando in linea di principio è auspicabile un maggiore scambio tra mare e laguna, più spinto nel periodo tardo autunnale e invernale durante il quale le acque alte si presentano con maggiore frequenza e un meno vivace ricambio delle acque è più sopportabile dalla laguna.
Per quanto riguarda poi quelle strutture che provvederanno alla chiusura dei varchi mobili vanno individuate quelle soluzioni tecnologiche (per esempio pontoni sommergibili removibili con paratoie a gravità) che escludano quei fenomeni legati alla risonanza e alla instabilità dinamica che le paratoie del Mose presentano e che ancora oggi incomprensibilmente si evita di verificare.
Questi interventi rappresentano una PRIMA FASE che consente una forte riduzione dei colmi di marea, in particolare per quanto attiene a quelli medio-alti che sono quelli che si verificano con maggiore frequenza in città, il che ha anche l’effetto, fondamentale, di fornire il tempo necessario per perfezionare e sviluppare in una SECONDA FASE i metodi di difesa più idonei, anche a più vasta scale territoriale, conseguenti ai cambiamenti climatici prevedibili.
Tutto ciò rappresenta una radicale variante del progetto Mose, di fatto un suo abbandono. E il nuovo onere finanziario da sostenere, pur beneficiando di un drastico abbattimento degli alti costi di manutenzione e gestione che la struttura del Mose impone e di un parziale recupero di materiali già esistenti e messi in opera per il Mose, deve prendere atto della perdita di danaro speso per tutti quegli interventi che non possono a nessun titolo venir recuperati e che sono figli di una sciagurata impostazione progettuale avvalorata da un regime malavitoso.
Qualora s’insista nel proseguimento dell’opera senza tener conto delle criticità denunciate, e dal momento che la sua non funzionalità si potrà constatare solo in futuro a opera ultimata, bisogna prefigurare un danno erariale a fecondità ripetuta mettendo sotto sequestro cautelativo il patrimonio di tutti quei soggetti, politici e tecnici, che con la loro firma su specifici documenti (documentazione depositata dal Comune di Venezia presso tutte le istituzioni interessate all’iter procedimentale del Mose) hanno contribuito a far sì che il presidente del consiglio Prodi e parte del suo governo respingessero le proposte alternative indicate dal Comune di Venezia nel 2006 – sindaco Cacciari – (che sviluppano peraltro concetti scientifici propri del “Progettone” del 1981 a cui fanno seguito autorevoli pareri del Consiglio superiore dei lavori pubblici degli anni successivi o della Valutazione di Impatto Ambientale del 1998), il cui impianto ancora oggi può verosimilmente rappresentare soluzioni più funzionali, anche per il riequilibrio lagunare oltre che per la portualità, con un’ottica di diminuire drasticamente gli alti costi di manutenzione e gestione del Mose e di una maggiore consapevolezza dell’evoluzione dell’aumento dei livelli del mare.
Tutto questo però non può sfuggire alla domanda che tanti si pongono: ma vale la pena bloccare i lavori di un’opera che sta volgendo al termine e che è già costata quasi seimila milioni di euro?
Una legittima domanda a cui ne potrebbe far seguito un’altra: ma vale la pena, anche in nome di un rigore scientifico che ha sempre caratterizzato le azioni della salvaguardia, voler ultimare un’opera che si sa già che non raggiungerà gli obiettivi per cui è stata concepita e che comporterà ingenti oneri di manutenzione e gestione nei prossimi cent’anni (tanto è il tempo di vita previsto dell’opera) che graveranno peraltro sul nostro debito pubblico? Ultimare un’opera sbagliata, che si sa sbagliata per la conoscenza di critiche fondate e documentate, rappresenta in uno stato di diritto un altro delitto punibile.
E ancora: a fronte di uno scenario di riscaldamento globale con l’innalzamento dei livelli marini in Adriatico in base alle previsioni del 4° Rapporto IPCC presentato alla Conferenza sui cambiamenti climatici di Parigi del 1° dicembre 2015, da cui deriva la necessità di modificare il rapporto altimetrico mare-suolo mediante il sollevamento del suolo stesso, perché insistere come una sorta di accanimento terapeutico sul proseguimento di un’opera che i valori di quello stesso Rapporto mettono già all’indice per l’altissimo numero di chiusure delle bocche di porto?
Il riscatto dello scandalo Mose può passare solo attraverso il riconoscimento degli errori commessi, la sua sostanziale messa in discussione progettuale e con la rivincita-affermazione di quel sapere scientifico indipendente che la storia malavitosa della “grande opera” ha volutamente respinto e ignorato.
Un giusto riconoscimento alle mobilitazioni e a quell’Assemblea permanente NO MOSE che aveva coniato l’indovinato slogan “Il Mose: un’opera utile solo a chi la fa”.

ARMANDO DANELLA 3 Maggio 2018