Il 25 aprile è il mondo che abbiamo perduto. Non si vuole qui riaprire una delle tante lamentazioni sulla Resistenza tradita, al contrario. È stato un errore legare troppo strettamente e troppo a lungo quella data a miti di guerra guerreggiata e ad armi in pugno, senza cogliere il significato più vasto di un processo di cui la Resistenza era parte, non il tutto. Era la costruzione di una democrazia, per la prima volta nel nostro paese. Al Nord come al Sud. Era democrazia che si organizzava, in grandi partiti popolari, in sindacati, in leghe contadine, in associazioni, di donne - per la prima volta - e di uomini. Che si dava una Costituzione nella quale non solo si affermavano diritti di libertà e di socialità ma si prevedevano gli strumenti per promuovere condizioni di eguaglianza e di libertà dal bisogno. Che si dava un'architettura istituzionale basata sulla democrazia rappresentativa, dove le assemblee avevano in primo luogo il compito di scrivere le leggi e non di fare da supporto a un governo. E un Parlamento che rappresentava fedelmente la società, basato sulla civiltà del proporzionale, dove il voto del signore valeva quanto quello del contadino, senza trucchi e inganni.