Riceviamo dal professor Filippo Paziente

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Riceviamo dal professor Filippo Paziente

Come presidente della sezione Anpi di Chieti e come storico, ho contribuito alla preparazione del programma sulla celebrazione del centenario (6 luglio 1919 – 6 luglio 2019) della fondazione della Camera del lavoro di Chieti e ho partecipato, come relatore, il 29 aprile al convegno di Lama dei Peligni (Programma: La Resistenza, la nascita della Costituzione, il ruolo del Lavoro) e il 23 maggio al convegno di Vasto (Programma: Gli scioperi a rovescio, l’occupazione del bosco “Motticce” a San Salvo, la mobilitazione per lo sfruttamento del metano a Cupello).

Relazione letta al convegno di Lama:

LE RESISTENZE NELLA NOSTRA REGIONE

Anche per l’Abruzzo gli storici negli ultimi tempi hanno ampliato il concetto di Resistenza, scoprendo nelle carte d’archivio e nelle interviste a protagonisti e testimoni, prima della loro scomparsa, l’esistenza e la consistenza, accanto alla Resistenza armata, di forme di Resistenza non violenta, disarmata.

1) La Resistenza civile e politica disarmata durante il ventennio
Inizia con l’avvento del fascismo (la Resistenza va retrodatata) e perdura nel ventennio:
- col rifiuto di prendere la tessera del pane (come fece il vostro Luigi D’Andrea, di cui ha parlato Iovito);
- con la difesa sulla stampa della libertà di parola e di associazione;
- con la denuncia delle violenze degli squadristi (subendo come sovversivi l’iscrizione nel CPC e le condanne al carcere e al confino);
- a Chieti con la riorganizzazione dell’opposizione dopo il delitto Matteotti, tenuta viva fino al mese di aprile del 1925 (è storicamente falsa la definizione di Chieti città camomilla);
- a San Salvo, il 30 marzo 1930, con la rivolta popolare, per difendere il diritto alla salute e alla
sopravvivenza (un diritto calpestato dai proprietari terrieri, che avevano trasformato alcuni terreni in acquitrini per la coltivazione del riso, favorendo la riproduzione delle zanzare e la diffusione della malaria);
- con l’organizzazione politica clandestina di nuclei antifascisti (Nell’autunno del 1931 era stata avviata una vasta organizzazione comunista, con ramificazioni in diversi comuni dell’Abruzzo, in collegamento con la Centrale Comunista di Parigi. Fu smantellata dall’OVRA, la polizia politica segreta del regime. Tra i 30 comunisti arrestati e incarcerati c’era anche Nicola Monaco, che ritroveremo nel dopoguerra segretario della Camera del lavoro di Vasto);
La Resistenza disarmata dei civili perdura anche durante l’occupazione tedesca e la lotta partigiana:
- compiendo atti di sabotaggio;
- opponendosi ai bandi, alle ordinanze e alle retate per il servizio del lavoro;
- fornendo assistenza e protezione ai militari sbandati dopo l’8 settembre;
- aiutando i prigionieri alleati a passare il fronte.

2) La Resistenza disarmata dei militari italiani fatti prigionieri e internati nei lager tedeschi
C’erano anche molti abruzzesi tra gli 800.000 soldati italiani catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre sui vari fronti di guerra, deportati e internati nei lager. Hitler non riconobbe come prigionieri di guerra i militari deportati, ma, per schiavizzarli obbligandoli al lavoro forzato senza la tutela della Croce Rossa, li classificò “internati militari” (IMI), categoria ignorata dalla Convenzione di Ginevra del 1929, che assicurava protezione ai prigionieri con disposizioni concernenti l’igiene, l’alimentazione, l’assistenza religiosa, le attività intellettuali e fisiche, il lavoro.
C’erano abruzzesi anche tra i 600.000 prigionieri che, pur soffrendo la fame, il freddo, le malattie, il lavoro coatto, le marce forzate per gli spostamenti da un campo a un altro, scelsero di resistere dicendo NO ai repubblichini che volevano convincerli ad aderire alla RSI e a combattere coi tedeschi (Un internato militare, da me intervistato, mi disse che i repubblichini gridavano: <<“Traditori! Disgraziati!” e ci sputavano in faccia>>). Anche la resistenza degli internati militari abruzzesi nei lager va inserita nella storia della Resistenza regionale e italiana al nazifascismo.

3) La Resistenza armata dei volontari italiani che parteciparono alla guerra civile spagnola
Il governo italiano aveva mandato in Spagna un corpo di spedizione di 80.000 uomini e materiale bellico, per combattere, insieme coi nazisti, a fianco dei fascisti spagnoli. In soccorso della repubblica spagnola accorsero volontari di molti paesi. Quando Carlo Rosselli, fondatore di Giustizia e Libertà, organizzò a Barcellona una colonna di volontari italiani, alla sua parola d’ordine “Oggi in Spagna, domani in Italia” risposero molti antifascisti provenienti dall’Italia, in fuga dalla dittatura fascista. Tra questi volontari c’erano anche 30 abruzzesi. Alcuni sono nomi noti, come l’anarchico Antonio Cieri di Vasto (caduto in battaglia nel 1937); Francesco Martella di Atri ( organizzò una banda partigiana nel suo
paese e fu assassinato dai nazisti); Giuseppe Bifolchi di Balsorano, L’AQ (anarchico, anche lui combattente in Spagna, poi nella Resistenza).
4) La Resistenza armata delle bande partigiane
Le prime pattuglie tedesche arrivano in Abruzzo intorno alla seconda metà di settembre. Nei capoluoghi e in molti comuni, ufficiali sbandati del disciolto esercito promuovono riunioni coi vecchi
antifascisti e con giovani ardimentosi, per decidere il da farsi. Approfittando delle caserme aperte o poco custodite, militari e civili si procurano armi e munizioni; organizzano i GAP (gruppi d’azione patriottica) e le bande partigiane, che si diffondono e moltiplicano in tutta la regione. Si attivano con azioni di sabotaggio, difesa delle zone agricole per evitare razzie di bestiame, aiuti agli ex prigionieri a passare il fronte, atti di guerriglia, scontri armati con pattuglie tedesche, assalti ai depositi di armi, propaganda antifascista e antitedesca tra i giovani, per sottrarli alle retate per il lavoro e all’inquadramento nella RSI.
Il movimento resistenziale delle bande partigiane in Abruzzo fu ampiamente diffuso e in molte zone sostenuto dalle popolazioni. Con la loro attività, col sacrificio di molti combattenti, contribuirono alla liberazione della regione e dell’Italia dai tedeschi.
Per ragioni di tempo, mi soffermerò su tre eventi della lotta partigiana : Bosco Martese, la Banda Palombaro e la rivolta di Lanciano.

a) Bosco Martese
Ferruccio Parri definì lo scontro di Bosco Martese “la prima battaglia partigiana in campo aperto”. Il 21 settembre sul Bosco Martese si riuniscono militari e civili antifascisti provenienti da Teramo, soldati slavi fuggiti da un campo di concentramento della zona ed ex prigionieri inglesi, statunitensi, canadesi, neozelandesi, australiani. Tra i capi dell’antifascismo teramano tre nomi noti: Mario Capuani, Armando Ammazzalorso, Felice Rodomonti. I partigiani sono armati di fucili, mitragliatrici e cannoni. Il 25 mattina subiscono l’assalto di un ‘autocolonna tedesca guidata dal maggiore Hartmann. Dopo un’ora di violenti combattimenti, i tedeschi sono costretti a ritirarsi, lasciando sul campo una decina di morti. Il maggiore Hartmann è fatto prigioniero e fucilato.
Il 26 i tedeschi tornano sul Bosco, ormai deserto perché i partigiani si sono dispersi in piccole bande, e lo cannoneggiano. Il 27 catturano Mario Capuani, lo portano nel Bosco e lo uccidono sul punto dove è stato fucilato Hartmann. Il partigiano è la prima vittima della caccia all’uomo scatenata per vendetta nella zona. Anche numerosi prigionieri in fuga sono giustiziati.

b) La banda Palombaro
È una delle prime bande partigiane organizzate in Italia. Dopo lo scioglimento dello Stato Maggiore dell’esercito e della Divisione Legnano (Chieti, 10 settembre), alcuni ufficiali promuovono riunioni per opporsi ai tedeschi che stanno arrivando. Ai militari si uniscono molti civili: esponenti delle libere professioni, del mondo della scuola e dell’impiego, del ceto operaio e artigiano. Alcuni sono personaggi del vecchio antifascismo (i medici Vincenzo Gianberardino e Luigi Colazilli, l’avvocato Domenico Spezioli, il tornitore Romeo Migliori, ecc.). La loro presenza prova che il movimento resistenziale a Chieti e provincia non nasce come un fiore nel deserto, ma si innesta su una tradizione, sulla memoria della resistenza al fascismo delle origini e del ventennio da parte di socialisti, comunisti, anarchici, liberali amendoliani. Ai componenti del ceppo storico si erano aggiunti giovani discepoli (i quattro fratelli Grifone, Guido Di Cosmo, Tonino Rapposelli ed altri).
Dopo aver fatto rifornimento di armi, munizioni, polvere da sparo, vettovaglie, un centinaio di partigiani si spostano nel campo base di Capo Le Macchie, sotto Palombaro, alle falde della Maiella. La vicinanza alla linea del fronte favorisce i collegamenti con gli alleati. Il territorio è idoneo per azioni di guerriglia. Il medico Gianberardino è di Palombaro e garantisce il sostegno logistico. Un ruolo importante nella direzione delle operazioni militari della banda Palombaro e degli altri nuclei resistenziali della provincia di Chieti e delle altre province abruzzesi è esercitato dagli agenti segreti inglesi, paracadutati dagli alleati per favorire un’azione sinergica contro il nemico.
Il 4 ottobre i tedeschi sferrano un violento attacco contro i partigiani della Palombaro, che resistono eroicamente per l’intera giornata, ma sono sopraffatti e costretti al ritiro, lasciando sul campo i primi martiri. A Chieti i partigiani tentano di riorganizzare la banda, ma cadono vittime della violenta repressione nazifascista, scatenata dalle bande di Pietro Caruso (organizza la cattura dei dieci partigiani fucilati a Bussi il 14 dicembre 1943) e di Mario Fioresi (fa arrestare i partigiani fucilati a Colle Pineta di Pescara l’11 febbraio 1944). Complessivamente i partigiani della Palombaro fucilati o caduti in combattimento sono 34. I tedeschi hanno fatto scempio dei corpi dei partigiani uccisi. Il giovane Adalgiso Di Pietro è fucilato presso il Ponte Villa, vicino a Palena. Il suo corpo è lanciato al di sotto del ponte da un’altezza di 20 metri. I corpi dei dieci partigiani fucilati a Bussi sono ammucchiati dentro una grotta fatta saltare con la dinamite. Un atto orrendo simile alla strage delle Fosse Ardeatine.

c) La rivolta di Lanciano
La rivolta di Lanciano del 5 e 6 ottobre 1943 fu un’insurrezione popolare in parte spontanea, in parte diretta da una banda partigiana di circa 150 uomini. La sera del 5 due partigiani a guardia del nascondiglio delle armi in località Pozzo Bagnaro fuori della città, aprono il fuoco contro due camion tedeschi che stanno sopraggiungendo, ferendo due militi e distruggendo i camion. Il contrattacco nemico è immediato. La mattina del 6 centinaia di tedeschi invadono la città, accolti dai partigiani con raffiche di armi automatiche. I tedeschi rispondono con furia devastatrice: mettono a ferro e fuoco la città e minacciano di farla saltare; uccidono barbaramente il giovane Trentino La Barba dopo averlo seviziato. A questo punto lo scontro si trasforma in rivolta popolare. L’intervento dell’arcivescovo Pietro Tesauri presso il comando tedesco pone fine alle violenze dei tedeschi e all’eroica resistenza dei lancianesi. Le cifre: 11 i partigiani morti, 12 i civili uccisi durante gli scontri, 23 i feriti; 47 i tedeschi caduti, 147 i feriti. Medaglie d’oro concesse alla città di Lanciano e a Trentino La Barba.

5) La Resistenza armata dei patrioti della Brigata Maiella
La storia della Brigata Maiella è nota. In breve. Nasce per iniziativa dell’avv. socialista Ettore Troilo, che il 5 dicembre 1943 a Casoli entra in contatto con gli inglesi. Riunisce in un unico comando i nuclei di combattenti sorti spontaneamente in alcuni comuni alle falde della Maiella, impedendone lo scioglimento. Il Corpo dei volontari della Maiella, dopo avere accettato le condizioni dell’apoliticità della formazione e della sua subordinazione alle direttive britanniche, è riconosciuto ufficialmente dagli inglesi e inserito nella Wigforce, un gruppo misto tra patrioti e soldati inglesi, comandato dall’ufficiale Lionel Wigram. Resiste alle pressioni del generale Giovanni Messe, di entrare nel Regio Esercito, preferendo continuare la lotta di liberazione in piena autonomia. Dopo aver liberato l’Abruzzo, con un organico crescente di numero (alla fine i patrioti saranno 1.326), la Brigata Maiella opera nelle Marche, in Emilia (è la prima formazione a entrare a Bologna il 21 aprile 1945) e si spinge fino ad Asiago. Infine è da ricordare che è l’unica formazione decorata di Medaglia al Valore militare alla bandiera . Le cifre: 55 Caduti, 151 feriti (di cui 36 mutilati).
Fu l’amore per la libertà, per la propria terra, per la Patria vilipesa a spingere molti giovani ad arruolarsi nella Brigata Maiella. Un amore infinito espresso in un diario da un giovane intellettuale nato in questo comune: Donato Ricchiuti, caduto in combattimento il 1 aprile 1944 per liberare dal nazifascismo la “povera straziata Patria”.

Filippo Paziente