IL “METODO FALCONE” E’ SEMPRE ATTUALE

Attenzione: apre in una nuova finestra. PDFStampaEmail

“Il Fatto quotidiano" di oggi 23 maggio 2020  in ricordo di Giovanni Falcone.

IL “METODO FALCONE” E’ SEMPRE ATTUALE

di Piergiorgio Morosini (Giudice delle indagini preliminari del tribunale di Palermo)

Non c’è tempo da perdere, bisogna mettere da parte le guerre tra il CSM, l’Anm, il guardasigilli, i partiti. Cosa Nostra delinque senza soste, mentre noi litighiamo senza soste”. A quattro giorni dalla strage di Capaci, Giovanni Falcone affida ad un giornalista parole drammatiche e premonitrici. Lo fa a commento di quei segnali di ferocia mafiosa che, dopo l’omicidio dell’europarlamentare Salvo Lima, si intensificano, rendendo ancora più convulsa la delicata transizione politico-economica dell’Italia del 1992. Ma quelle parole non possono cristallizzarsi in un passato lontano. Richiamano una questione che ciclicamente si ripropone: l’idoneità delle risorse istituzionali nella sfida alle forme più insidiose di criminalità per i diritti e la democrazia.

Sull’appello di Falcone alla “compattezza” degli organi dello Stato sembra calato il velo dell’oblio. A dirlo è la cronaca di maggio 2020. Le postazioni-chiave del “sistema giustizia” sono attraversate da asprezze e conflitti di ogni tipo. Basti pensare alla mozione di sfiducia verso il Guardasigilli, in seguito a provvedimenti di scarcerazione per motivi di emergenza sanitaria. O ancor più, alla pubblicazione di stralci di una indagine perugina su condotte di componenti del Consiglio superiore della magistratura. Una vicenda che svelerebbe storie di trame, rancori e miserie umane, per brama di potere, carriera o piccoli vantaggi personali. Come tale in grado di screditare un organo di rilevanza costituzionale, chiamato a difendere l’autonomia di tanti giudici e pubblici ministeri lontani anni luce da certe logiche e impegnati ogni giorno in delicate funzioni.

Anche oggi, come nel 1992, la vulnerabilità degli organi dello Stato è un regalo alle mafie. E i rischi aumentano in tempo di crisi socio-economica per effetto delle misure anti-contagio. In queste settimane, molti tra imprenditori e commercianti non riescono a far fronte a stipendi, canoni d’affitto e oneri fiscali; e il ritorno alla normalità non è prevedibile che avvenga in tempi brevi. Così il crimine organizzato si sta attrezzando. Secondo gli esperti, in particolare su tre versanti: la “caccia” alle aziende in “stato di necessità”; l’intercettazione delle somme stanziate dallo Stato per il soccorso alle imprese; il reclutamento nelle cosche di giovani bisognosi che hanno perso il lavoro in realtà già depresse. Si tratta di manovre che si sviluppano con la complicità di amministratori pubblici, liberi professionisti, politici. E, per contrastarle, al circuito investigativo-giudiziario non bastano preparazione e determinazione, occorre la fiducia delle persone oneste.
Proprio nella parabola professionale e umana di Giovanni Falcone troviamo un esempio utile in questi giorni difficili. Come uomo di Stato, nonostante minacce e ostacoli interni al suo stesso mondo, non si rassegnò mai all’isolamento e al vittimismo. Ebbe la forza di promuovere nuove strategie processuali, dopo decenni di piena immunità per i capi mafia. Lo fece senza farsi deprimere dai limiti anche culturali di un ambiente giudiziario allora, diversamente dai giorni nostri, privo di ogni sostegno nella società civile. E quella combattività la coniugò con la lucidità nell’immaginare il futuro. Non a caso, le intuizioni di Falcone sono alla base di leggi ancora fondamentali nel contrasto ad ogni forma di crimine organizzato. Ne sono prova tangibile le direzioni distrettuali e la direzione nazionale antimafia (ora anche antiterrorismo), nonché le norme sui collaboratori di giustizia e sull’ordinamento penitenziario (art.41 bis).
Il “metodo Falcone” è una eredità preziosa. Ha contaminato i corpi speciali della nostra polizia giudiziaria, ormai tra i più attrezzati al mondo nel prevenire e contrastare le economie criminali. Anche per questo il nostro paese è pronto a fugare quei sospetti ingenerosi, seminati da una parte della stampa europea, secondo cui gli aiuti di Bruxelles all’Italia per il “dopo pandemia” finirebbero nelle casse delle mafie. In realtà, proprio quel know how investigativo andrebbe esportato nel continente e dovrebbe informare una cooperazione giudiziaria tra diversi paesi, in grado di diventare la “risorsa in più” per sconfiggere gli appetiti mafiosi nel mercato finanziario e immobiliare che ormai da anni incidono sulla qualità delle nostre democrazie.
Nella “eclissi” della prima Repubblica, Falcone ebbe pure il coraggio di ripensare al ruolo della magistratura nel sistema costituzionale. Lo fece dialogando da pari a pari con la politica e affrontando non solo le critiche argomentate ma anche gli ostracismi e le invettive dei colleghi. Non tutte le sue indicazioni, naturalmente, erano condivisibili. Ma il pensiero di Falcone dimostrò l’importanza, in una società esigente e complessa, del magistrato dotato di forte senso della realtà, disponibilità a lavorare con gli altri e, soprattutto, senso della autonomia dai centri di potere. Sono qualità ancora indispensabili. Quelle che giustificano la sua soggezione soltanto alla legge.