La grande bruttezza

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La grande bruttezza

L’Italia che a villa Pamphilj esibisce la grande bellezza romana dello scultore e architetto Algardi, soffre di una grande bruttezza perché è paese malato soprattutto di diseguaglianza. Tra Nord e Sud, tra uomini e donne, tra giovani e vecchi e, naturalmente tra ricchi e poveri.
Come su queste pagine ha scritto Pierluigi Ciocca, 4,4 milioni di imprese possiedono un patrimonio netto di circa 10 trilioni di euro: quattro volte il debito pubblico. Eppure tra le forze che più apertamente si contrappongono al governo spicca proprio Confindustria chiedendo più soldi pubblici anziché investire l’immenso patrimonio per costruire nuovo lavoro. 
E nel giorno in cui villa a Pamphilj saranno di scena imprenditori e sindacati, il governo dovrà dire come stanno insieme la promessa di inclusione sociale e la restaurazione confindustriale.
Le quattro sinistre, come Berlusconi chiama le forze della maggioranza, a nemmeno un anno dal loro insediamento al governo, dovranno trovare la compattezza e la forza di una squadra che ha come campo di gioco un terreno minato dalla peggiore crisi dei tempi moderni.
Forza e compattezza che finora il governo non ha espresso, perché i partiti che ne fanno parte, divisi al loro interno non sempre su nobili dilemmi, hanno seminato molti giustificati scetticismi sull’essere all’altezza del gravoso compito.
Non è però difficile prevedere che probabilmente la maratona di villa Pamphilj non sarà né una inutile passerella e nemmeno un piano quinquennale, piuttosto il tentativo di mettere in fila priorità e direzione di marcia, allo scopo di allontanare il baratro sul quale siamo affacciati.
E i tre temi indicati ieri dal presidente del consiglio Conte (digitalizzazione, ambiente e inclusione sociale) riguardano le principali riforme strutturali su cui innestare i progetti concreti, condizione necessaria per farceli finanziare dall’Europa ieri presente con le massime autorità.
Ridicolizzati, sbeffeggiati, contrastati alla fine gli stati generali sull’economia, in questo inedito dopoguerra 2020, mentre offrono l’ambizioso traguardo della rinascita, devono soprattutto guardarsi dal rischio del fallimento, tragico non tanto per le sorti di palazzo Chigi ma per quelle del paese.

Norma Rangeri, Il Manifesto,13-VI-2020