Riflessioni di Roberto Leombroni Non è facile, nello spazio di un quarto d’ora, spiegare le motivazioni che mi spingono a votare NO nel referendum del 20 e 21 settembre prossimi. Non sono un giurista. Neppure un costituzionalista esperto. Tanto meno un politico di professione. Dunque non mi addentrerò nei complicati meandri di un discorso tecnico, sul quale, sicuramente, altri sono molto più preparati di me. Le mie riflessioni saranno quelle di un semplice cittadino, sia pure fornito di un minimo di conoscenze relative alla storia del nostro Paese, che ha particolarmente a cuore le sorti della nostra Costituzione e della nostra democrazia parlamentare. Non sembri una semplice frase a effetto, ma credo che a spingermi nella direzione del NO sia innanzitutto una sorta di sesto senso. A insospettirmi sono, in particolare, le motivazioni addotte dai promotori della legge che riduce il numero dei parlamentari. E, ancora di più, l’estrema eterogeneità del fronte partitico che si ritrova a difenderla. Una unanimità, appunto, sospetta, raggiunta dopo una serie interminabile di ripensamenti da parte di alcune forze politiche. In che cosa consiste il sospetto? Chi conosce abbastanza la nostra storia non avrà difficoltà nel verificare quanto un certo qualunquismo (oggi si parla, in maniera più sofisticata, di “spirito anti-casta”) sembri insito, da sempre, nel DNA di una grande parte del popolo italiano. E quanto, di conseguenza, sia difficile e pericoloso, contrastarlo. Ciò spiega l’apparente paradosso che vede allineati, nell’attacco alla rappresentanza parlamentare, persino gli eredi delle grandi forze popolari che, nel difficile dopoguerra, contribuirono a realizzare il “miracolo” di una delle Costituzioni più evolute esistenti al mondo. Entrando nel merito delle argomentazioni cui ricorrono i sostenitori del Sì, una, in particolare, sembra prevalere su tutte le altre. Quella che dipinge il nostro Parlamento come un’accozzaglia di pelandroni corrotti. Per cui, limitandone il numero, si limiterebbero le spese e i danni che questa massa di infingardi infliggerebbe al Paese. Si tratta di una visione completamente distorta dell’istituzione più rappresentativa prevista dalla nostra Costituzione. Innanzitutto, essa è ingenerosa nei confronti di tanti parlamentari onesti e laboriosi, che operano silenziosamente, ma con competenza, nelle commissioni parlamentari o nei gruppi di lavoro cui sono assegnati. Ovviamente il problema di parlamentari disonesti, incompetenti, assenteisti, esiste eccome. Ma ciò non costituisce una buona ragione per operare un taglio QUANTITATIVO della rappresentanza parlamentare. Innanzitutto perché QUEI parlamentari sono votati dai cittadini. E troppo spesso, proprio da quei cittadini che oggi ostentano tutto il loro spirito anti-casta. Purtroppo quei cittadini, per varie motivazioni, e con la complicità di leggi elettorali profondamente ingiuste, hanno contribuito a riempire il Parlamento con gli elementi peggiori, che hanno saputo suggestionarli attraverso promesse, ricatti e artifici di varia natura. Paradossalmente, sono proprio QUEI parlamentari (parte integrante, si badi bene, della casta) i più solerti nell’invocare il taglio della rappresentanza. Siamo proprio sicuri che la scure risparmierà i migliori, penalizzando i peggiori? A me sembra vero il contrario. Soprattutto perché la necessità di farsi eleggere in collegi elettorali più ampi favorirà inevitabilmente coloro che dispongono di maggiori risorse finanziarie, tagliando le gambe a tanti candidati, più onesti e competenti, ma privi dei suddetti mezzi. C’è poi l’argomento del risparmio. Stento a orientarmi tra i numeri. Ma mi sembra che, secondo i vari calcoli effettuati dagli esperti, esso sia alquanto irrisorio. Ma, anche ammesso che fosse di entità superiore, siamo veramente disposti a svendere, per il classico piatto di lenticchie, uno dei pilastri della nostra democrazia? Già. Perché, contrariamente a quanto sostenuto dai sostenitori delSì, in Italia il rapporto tra eletti e popolazione è sostanzialmente in linea con quello dei maggiori Paesi europei (Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna). Con la riforma, detto rapporto sarebbe il più basso in assoluto nel continente. Ma le motivazioni che mi spingono a votare NO fanno leva anche su considerazioni di più elevato spessore politico-culturale. Sono fermamente convinto che dietro tale riforma si nasconda un vero e proprio attacco al Parlamento e alla democrazia rappresentativa, alla quale si vorrebbe gradualmente sostituire un sistema fondato su un sostanziale plebiscitarismo. Da un paio di decenni almeno, infatti, si sono più volte manifestati, da parte di una destra populista (inizialmente nella sua versione berlusconiana, poi sempre più in quella leghista-salviniana), segni di insofferenza nei confronti di discussioni parlamentari che costituirebbero “lacci e lacciuoli” nei confronti di un aggressivo decisionismo. Testimonianza estrema di tali posizioni è la richiesta di “pieni poteri”, arrogantemente e incautamente avanzata da Salvini un anno fa, alla vigilia del crollo del governo giallo-verde. Posizioni che non nascondono simpatie nei confronti di sistemi apertamente totalitari, o comunque fortemente limitativi del dibattito democratico. Tali pulsioni autoritarie e antidemocratiche trovano purtroppo un terreno fertile nell’immaturità e nell’analfabetismo istituzionale di chi è incapace di cogliere l’estrema complessità dei problemi che non solo l’Italia e l’Europa, ma l’intera umanità si trova ad affrontare nell’attuale contesto storico. Sono i temi della pandemia, ma anche quelli dell’economia, della scuola, del lavoro, dell’ambiente. Temi che qualcuno ritiene si possano sbrigativamente risolvere con il piglio decisionista del demagogo di turno. Dunque a che servono le inutili schermaglie parlamentari? È la posizione tipica di chi si mette la coscienza a posto scrivendo banalità sui social, spesso condite con l’immancabile offesa nei confronti di chi la pensa diversamente. È evidente che costui plaude al ridimensionamento delle voci che si confrontano democraticamente in parlamento, convinto della ricetta di un falso efficientismo e del “pochi ma buoni”. Ovviamente non è questo lo spirito che anima TUTTI i sostenitori della riforma, tra i quali sono presenti anche costituzionalisti di tutto rispetto. Ciò non toglie che, a mio avviso, volenti o nolenti, costoro portino acqua al mulino di chi, una spallata dopo l’altra, tenta di far crollare l’edificio costruito con generosità e sacrifici dalla generazione di italiani che hanno combattuto per la libertà e la democrazia. Riforme, anche radicali, sono senz’altro necessarie, ad esempio nel campo delle leggi elettorali. Altrettanto necessario è colpire i troppi privilegi di cui godono, in realtà, non solo i parlamentari. L’ultima cosa da fare è attentare al principio della rappresentanza, limitandone il numero.
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