Una costituzione è sempre un fatto (nel senso proprio del termine) fondamentale per un popolo.
Quel fatto segna il tempo in cui vengono poste le regole fondamentali, il patto che unisce nella convivenza i cittadini, e non solo essi.
Nella storia, spesso, una costituzione viene elargita dall’alto: ad esempio dal potere sovrano del re, da una cerchia ristretta di caste nobiliari, da un manipolo più o meno ampio di rivoluzionari.
La Costituzione della Repubblica italiana nasce dal basso, nasce dal popolo.
E nasce in un momento drammatico ma anche emozionante della vita nazionale.
Il 2 giugno del 1946 –in forza di due distinti decreti luogotenenziali (uno di quello stesso anno e l’altro di qualche tempo prima, appena dopo la liberazione di Roma)- si svolgono contemporaneamente a suffragio universale: il referendum istituzionale per decidere la forma dello Stato (monarchia o repubblica); l’elezione dei membri dell’Assemblea costituente.
Come è noto, già al 22 dicembre del 1947 l’Assemblea approva la nostra Costituzione, che entra in vigore in data 1/1/’48.
La nostra è una Costituzione profondamente innovativa.
Essa capovolge la prospettiva di tutto l’assetto istituzionale precedente (e non si parla solo del ventennio fascista): pone una gerarchia dei valori che intende tutelare, e al vertice mette la persona umana.
Ciò si coglie già nella struttura, che non è casuale: nulla è lasciato al caso nella stesura originaria della carta; il linguaggio è puro, inequivocabile, di somma sintesi tecnico-giuridica; un linguaggio ineguagliato, che non si coglie purtroppo nelle modifiche successive.
La Costituzione esordisce con i principi fondamentali; poi struttura i diritti e doveri dei cittadini (nei rapporti civili, etico-sociali, economici e politici); solo nella parte seconda si occupa dell’ordinamento della repubblica.
Insomma, la persona viene posta al vertice, prima di tutto: i suoi diritti inviolabili, il principio di eguaglianza, il diritto/dovere al lavoro, i suoi diritti di libertà puntigliosamente elencati e dettagliati, come singolo e nelle formazioni sociali in cui la persona si esprime (famiglia, associazioni, vita sindacale e politica, lavoro e imprenditoria).
Ma non c’è valenza individualistica nel costrutto dei padri costituenti: la persona è tutelata perché è individuo della collettività. Promuovendo i suoi diritti, tutelandoli, la Repubblica intende assicurare che ciascuno contribuisca al migliore convivenza possibile nella comunità.
La idea sottesa dai padri costituenti (niente affatto diffusa all’epoca: la nostra costituzione sarà da guida a tante altre e ad atti di diritto internazionale di organismi sovranazionali) è quella di costruire le fondamenta dello Stato partendo dalla persona, non vedendo nella persona lo strumento dello Stato.
Lo Stato non è insomma una entità superiore e astratta che ci piega e ci distribuisce diritti e doveri; siamo noi persone, con i diritti e doveri attribuitici anzitutto dalla Costituzione, a fare lo Stato, a farlo vivere e crescere ogni giorno.
D’altro canto, il diritto è contemperamento di interessi, cioè di propensioni spesso configgenti verso un bene della vita; un contemperamento che mira a promuovere non già la mera coesistenza, ma appunto la convivenza, e quindi la crescita della collettività e in essa di ognuno di noi.
Ecco perché il diritto –cioè il sistema delle norme- per essere efficace deve essere “semplice”, “ragionevole”, condivisibile.
E’ per questo che anzitutto ogni norma deve valere per tutti, deve valere per il futuro, mai deve essere creata a vantaggio o svantaggio di qualcuno o alcuni: generalità, irretroattività, astrattezza.
In un contesto di gravi tensioni internazionali ed interne, i padri costituenti –che si riportano a ideologie profondamente diverse (la tradizione cattolica, quella liberale, quella social comunista) riescono a esprimere un contemperamento di interessi ideale: essi pongono regole davvero condivise, le regole della casa comune, le regole che possono e debbono valere per chiunque in quel momento governi e per chiunque in un dato momento sia all’opposizione.
E’ del tutto erroneo vedere in questo contemperamento un limite della nostra costituzione; al contrario, è questo il suo frutto migliore, la strada segnata per ogni nostro legislatore.
E affermare l’inverso significa tornare a concepire lo Stato come entità -frutto magari di una mera e inevitabilmente provvisoria maggioranza (tutto scorre)- che sovrasta e che guida il popolo, piuttosto che la struttura con cui il popolo si determina
Tornando adesso alla struttura della carta, si può notare anche il ritmo incalzante delle norme.
I principi fondamentali sono le colonne portanti: e fra esse, la Costituzione vede nel lavoro la radice di base della personalità umana, con gli artt. 1 e 4.
La Repubblica è fondata sul lavoro; essa riconosce il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Quindi, la Costituzione indica il modello e lo schema di politica economica di qualunque governo e di qualunque maggioranza: il promovimento del lavoro.
Il programma di ogni governo dovrebbe avere questo obiettivo al proprio centro.
Dopo le colonne dei principi fondamentali (indiscutibilmente immodificabili) gli articoli sui diritti e doveri dei cittadini hanno tutti un esordio letterale secco e incalzante: si susseguono i diritti di libertà (personale, di domicilio, di corrispondenza e comunicazione, di circolazione, di riunione, di associazione, di fede religiosa, di manifestazione del pensiero, di difesa), poi la tutela della famiglia, della salute, dell’arte e della scienza e del loro insegnamento, della scuola, del lavoro, dell’attività sindacale e d’impresa, dell’attività politica.
Fissati questi principi e stabiliti i diritti e doveri dei cittadini, nella parte seconda la Costituzione stabilisce i lineamenti dello Stato, cioè della struttura che è al servizio di ciascuna persona, e che ognuno di noi è chiamato a far funzionare e progredire.
I costituenti danno per scontato il principio di divisione dei poteri e nemmeno ritengono di doverlo ribadire.
Hanno già stabilito, a scanso di equivoci, che la Repubblica è una e indivisibile.
Adesso fissano nel Parlamento (diretta espressione della sovranità popolare) la radice del potere legislativo (salvo le materie stabilite anche alle Regioni e alle Province di Trento e Bolzano); nel Governo e nella pubblica amministrazione quella del potere esecutivo; nella magistratura il potere giudiziario.
Raccordano il Governo al Parlamento, legandovelo con il rapporto di fiducia e con la supremazia del secondo anche per l’ipotesi di attività legislativa del Governo (decreti legge e decreti legislativi delegati: controllo del Parlamento rispettivamente a valle e a monte).
Legano la magistratura alla legge con l’art. 101.
Fissano nel Presidente della Repubblica il garante della unità nazionale, con elezione raccordata direttamente al Parlamento e alle Regioni.
I padri costituenti insomma vedono nella legge la fonte fondamentale del diritto interno.
E l’interpretazione della legge e la sua applicazione è opera quotidiana di ciascuno di noi; ma solo l’Autorità Giudiziaria (soggetta soltanto alla legge) la applica coattivamente decidendo sul contrasto di interpretazione.
Ma i costituenti si pongono anche il problema di una possibile legge che contrasti i principi costituzionali; ovvero di un conflitto tra i poteri dello Stato; ovvero (fortunatamente ben improbabile) di un attentato alla costituzione del Presidente della Repubblica: a tal fine la carta pone il baluardo della Corte Costituzionale.
Così, i padri costituenti hanno costruito la struttura. Essi però non la immaginano come una casa fissa sul terreno; sanno bene che la vita scorre, che la storia scorre, che i valori si affinano nella sempre mutevole realtà sociale.
La loro idea è quella di un vascello sul mare, con le vele da usare e costruire e modificare, per proseguire e vincere anche le tempeste.
E allora la Costituzione non è immutabile: l’art. 138 fissa il procedimento di revisione.
Ma i limiti alla revisione non sono solo quelli dell’art. 139 (che anzi ne fissa esplicitamente solo uno: la forma repubblicana); è l’intero sistema dei principi fondamentali e dei diritti di libertà a non essere modificabile..
O meglio, la loro revisione non passa per la costituzione; una legge (anche resa con le forme e art. 138 Cost.) di tal fatta non è promulgabile dal Presidente della Repubblica, a pena di attentato alla costituzione stessa.
Possibili quindi gli aggiornamenti, le modifiche che attengono alla concreto ordinamento della Repubblica: ma le nuove strutture devono essere conformi e funzionali ai principi fondamentali e al sistema dei diritti e doveri dei cittadini.
Se invece si vuole rendere una riforma che investa questi principi e queste libertà, la via è quella della fonte-fatto, dell’evento rivoluzionario; ci troveremmo di fronte a un altro assetto costituzionale, avremmo abbandonato la nave comune costruita dai padri costituenti.
Se questo si vuole, chi lo voglia abbia il coraggio di dirlo, chiaramente e senza reticenza.
Ma ricordiamo tutti che sia l’unità d’Italia sia la nostra attuale libertà hanno chiesto migliaia e migliaia di morti, anche di cittadini stranieri deceduti nelle nostre terre –a migliaia e migliaia di chilometri da casa- anche per la nostra libertà.
Ricordiamo il bambino di “La vita è bella”, cui il padre occulta gli orrori del campo di concentramento nazista.: nella scena finale la voce narrante (lui da adulto) ci dice orgoglioso che quello fu il dono del padre, il sacrificio che egli fece per lui, dandogli la possibilità di vivere e vivere serenamente e in libertà.
Ricordate il soldato Ryan? Come lui, tutti noi abbiamo il dovere di fare buon uso della nostra libertà e di tenerla accudita e preservata, senza nulla dare di scontato per il futuro.
Teniamocela cara la nostra costituzione: è la nostra casa; è la garanzia della libertà nostra e dei nostri figli.
Nicola Valletta
Informazioni aggiuntive
ATTENZIONE!
Per scaricare gli articoli o i contenuti presenti nel sito in formato PDF cliccare sull'icona presente in alto a destra.