Propaganda Fide e Propaganda 2

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Il Manifesto, Venerdì 2 luglio

di Andrea Fabozzi

Colloquio con Corrado Stajano sul berlusconismo che ha visto nascere Il Pd, Tangentopoli e quel piano di Gelli che oggi si realizza
«Quando ero senatore abitavo in via Giulia. Come Bertolaso. Che storia straordinaria quella. Ancora non ho ancora capito chi gliela pagava quella casa. Il cardinale Sepe? Un amico? Anemone? Aspetto lumi. "Ci sono persino degli aspetti comici nella capacità italiana di far convivere il carnevale con la tragedia", ha scritto Cesare Garboli». La ventola muove piano l'aria nello studio di Corrado Stajano, a Milano. Sulla scrivania una fila di matite Staedtler 2b con la punta pronta. I suoi libri più noti sono Il sovversivo, vita e morte dell'anarchico Serantini del 1975 e Un eroe borghese del 1991 sull'omicidio Ambrosoli. Ma in questa intervista seguiamo la traccia di un altro libro, scritto alcuni anni fa. Quando era senatore.
Nell'ottobre del 1994 Berlusconi disse per la prima volta che gli sceneggiati sulla mafia come La Piovra sono dannosi per l'Italia, fu convocato in commissione antimafia per spiegarsi e dovette andarci. Stajano era lì, senatore indipendente del gruppo dei Progressisti. Gli fece due domande, finì che il presidente del Consiglio si mise a urlare e poi si chiuse in un mutismo totale, «basta, non intervengo più». Nell'aula del senato, durante quella legislatura breve che vide l'esordio del Cavaliere, Stajano prendeva appunti. Due anni dopo tirò fuori un libro straordinario, Promemoria, premio Viareggio di quell'anno, il racconto della formazione del berlusconismo, in diretta. La conquista del palazzo e dintorni, dove i dintorni sono quel triangolo della capitale che chiude lo spazio fisico della politica romana, tra Montecitorio, palazzo Madama e via Giulia.
«Mi chiedi a che punto siamo del berlusconismo e non so dirtelo, non oso azzardare che siamo al tramonto. Tuttavia qualche segnale c'è, e metto insieme i disastri del governo che non sono più camuffabili, la crisi che dovrebbe essere finita ma gli operai riempiono i tetti delle fabbriche, Viareggio dolorante dove un anno dopo la tragedia il governo non può nemmeno presentarsi, le proteste dignitosissime dei cittadini dell'Aquila. E Pomigliano». Pomigliano? «Ma certo. Il tentativo di quel signore lì, quello senza giacca, Marchionne, è di fare una secessione, tagliare il sud dal nord, punirlo. Una secessione della Fiat che ha avuto tutto dai governi. Si aspettavano il 90 per cento dei sì e si devono accontentare del 62, una risposta di grande dignità meridionale, uno dei segni positivi, forse il più positivo che viene da questa società colabrodo. Gli articoli di Ermanno Rea e di Marco Revelli sul manifesto mi hanno molto commosso».
Non ci sono solo le cronache delle conquiste berlusconiane in Promemoria, in parallelo spiccano le debolezze dell'opposizione. Per questo il libro uscì in un periodo disgraziato, quando il centrosinistra era al governo e non aveva voglia di indulgere in autocritiche. Stajano non ha cambiato idea. «Oggi il Pd non è all'altezza così come sedici anni fa non lo era il Pds. Aspettano che siano gli altri a offrirgli le soluzioni, confidano in Fini. Eppure i residui della sinistra qualche memoria della terza internazionale dovrebbero averla: allora sapevano fare una sola cosa, l'opposizione. Adesso Bersani dice cose flebili, rassicuranti. Ma noi non vogliamo essere rassicurati, siamo in un film western e vorremmo vedere arrivare nostri, che non arrivano mai. Ricordo il mio lo stupore nel sentire i discorsi nel gruppo parlamentare. Era tutto un raccomandare cautela, "bisogna stare attenti" ci dicevano. E poi: "Non demonizzare". Che il problema fosse il conflitto di interessi lo avevamo capito subito, non bisognava aver studiato ad Harvard. Eppure vedi com'è finita, ancora oggi non so dire se è stata cecità politica o suicidio compromissorio. La sostanza è che i dirigenti del partito erano d'accordo con Berlusconi quando diceva che agli italiani non importava nulla del conflitto di interessi».
«Solo Carlo Ginzburg e io - racconta Stajano - abbiamo lasciato l'Einaudi dopo che l'aveva comprata Berlusconi. Dissi che piuttosto avrei scritto sui muri. Mi sono dimesso tante volte in vita mia, ma le dimissioni dalla casa editrice che sentivo come casa mia mi costarono tanto. Intanto il capo dell'opposizione, D'Alema, pubblicava con Mondadori. Anche quest'ultima uscita, terribile, di Berlusconi, lo sciopero contro i giornali, mi pare una citazione di D'Alema, quando disse che lasciare i giornali in edicola è un segno di civiltà. Altro che indifferenza, in realtà il Cavaliere è preoccupatissimo di quello che scrivono i giornali, e soprattutto il Corriere. Non mi pare un caso che si sia tanto arrabbiato proprio dopo la ricostruzione che ha fatto De Bortoli delle mosse del Quirinale di fronte al tragicomico caso Brancher».
Al senato, tra la presidenza e i banchi del governo, c'è un piccolo corridoio. «Io trovavo il modo di passarci sempre, quando c'era Berlusconi perché volevo guardargli la testa. Era stranissima, fino a metà collo era dipinto. E gli occhi poi, ci hai fatto caso? Berlusconi non ha occhi. Che posso dirti di questa legge sulle intercettazioni? È vergognosa, è chiaro. Penso che ci siano stati anche degli eccessi da parte dei giornalisti che hanno pubblicato vicende irrilevanti e di chi ha passato loro queste notizie, ma insomma adesso il governo sta cercando di cancellare la libertà di stampa. Ho paura di esagerare ma in questi giorni ripenso molto a quello che è successo tra il 1922 e il 1925. Perché il fascismo non è stata dittatura immediata, ma una serie continua di limitazioni delle libertà. Fino al discorso del 3 gennaio 1925. Quello che hanno proposto come esempio nei temi della maturità di quest'anno, guarda un po'».
La differenza con Tangentopoli - spiega Stajano che ha seguito da vicino le inchieste Mani Pulite - è che «allora c'erano i partiti. Fortissimi, dominanti. A Milano si sedevano tutti allo stesso tavolo, dai comunisti miglioristi ai liberali, e si dividevano le tangenti. E non si dica che allora non si rubava per interesse personale perché non è vero, basta ricordare Craxi e la sua corte. Oggi forse le ricchezze sono più esibite, la corruzione sfocia in ostentazione. È una tangentopoli più romana, con i preti, quel sistema che è stato definito gelatinoso che vede al centro Propaganda fide e tutto intorno l'odore di un'altra Propaganda, quella di Gelli, la loggia Propaganda 2. Il piano di rinascita democratica della P2 è stato completamente attuato, tanto che Gelli vuole chiedere a Berlusconi i diritti d'autore». Dell'Utri però è stato mafioso solo fino al 1992. «Pazzesco, festeggiano una condanna in appello a sette anni. Ma il 1992 è stato l'anno in cui sono stati uccisi Falcone e Borsellino, ci stanno forse dicendo che Dell'Utri era dentro l'organizzazione di quelle stragi? Secondo me quando Dell'Utri insiste a dire che Mangano è stato un eroe è come se stesse confessando i suoi delitti. Il boss è stato un eroe perché non ha parlato e che cosa avrebbe potuto dire lo sa bene il senatore».
Conclusione: «Stiamo messi un po' peggio anche del '94 quando almeno Berlusconi in parlamento ci veniva e non mandava Vito come fa oggi con disprezzo assoluto. Me lo ricordo, Berlusconi. Non puoi immaginare le facce che faceva, guardava il soffitto, sbuffava, si annoiava, di sicuro pensava a quanti traffici avrebbe potuto fare nel frattempo, però insomma stava lì. Oggi vedi, secondo me la crisi del paese è soprattutto una crisi antropologica, di uomini. Ho messo insieme in questo libro, Maestri e Infedeli, tanti personaggi straordinari che ho incontrato, ci sono Parri, Bachelet, Revelli, Lombardi, Terracini, Pertini, Pugno, Galante Garrone e molti altri. Adesso chi ha preso il loro posto?». on ultimo, perché la legge-bavaglio ha un comma che si chiama D’Addario: è anche per chiudere il conto aperto con lei che il «vero uomo» di palazzo Chigi ha fretta di incassarla.