Servizio sanitario nazionale sempre più a pagamento

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Servizio sanitario nazionale sempre più a pagamento

Salute. L’indagine di Cittadinanzattiva e del Sole-24 Ore: in Campania l’intramoenia surclassa il servizio pubblico

Più si scende a sud e più la sanità appare iniqua, oltre che inefficiente. Questo il quadro che emerge dall’indagine «Urgenza sanità» realizzata dall’associazione Cittadinanzattiva in collaborazione con il Sole-24 Ore monitorando i tempi di attesa e la disponibilità di visite specialistiche nel settore pubblico e in regime di «intra-moenia», cioè a pagamento a favore di medici del servizio sanitario nazionale che agiscono da liberi professionisti.

Il doppio canale – introdotto dalla riforma Bindi del 1999 – è una delle criticità storiche di un servizio sanitario che sulla carta dovrebbe garantire pari condizioni a tutti gli utenti. Il problema dell’accesso a visite e esami si è acuito ulteriormente con la pandemia, che ha rallentato tutte le attività ambulatoriali. Dopo il Covid-19, il governo ha redatto un piano nazionale di recupero delle liste di attesa, in cui viene ribadito che il numero di visite in regime libera professione non può superare quello svolto nel pubblico.

Ma i numeri sull’attività pubblica e quella privata raccolti da Cittadinanzattiva raccontano una storia diversa. A fornire i dati sono state le regioni stesse (non tutte) su richiesta della stessa associazione.

Appare allarmante la situazione della Campania, in cui tutti gli ospedali riferiscono di un numero di prestazioni in intramoenia decisamente superiore a quello svolto nel pubblico. Ad esempio, nel 2022 al Cardarelli di Napoli sono state svolte 112 visite ortopediche nel pubblico, contro 1255 (undici volte di più) a pagamento. All’Ospedale dei Colli, al reparto di urologia nessuna visita è stata fatta con il Servizio sanitario nazionale: tutte le 112 visite effettuate sono stati fatte a pagamento.

Da record anche il Moscati di Avellino, dove il rapporto tra le 7 visite cardiologiche con il Ssn e le 979 in intra-moenia è di una visita gratuita contro 139 a pagamento. A difesa della Campania, va detto che la Regione governata da Vincenzo De Luca è una di quelle che ha fornito i dati più completi (otto regioni invece non hanno risposto alla richiesta di accesso civico) e che dopo la richiesta dei dati ha immediatamente sospeso le visite in intramoenia.

Il monitoraggio delle liste d’attesa ha riguardato solo Emilia-Romagna, Liguria, Lazio e Puglia, le sole a fornire i dati via web. E in questa classifica ristretta le situazioni peggiori si rilevano di nuovo nel mezzogiorno. Il 100% delle visite pneumologiche e oncologiche con priorità a 30/60 giorni alla Asl di Lecce viene effettuato in ritardo rispetto ai tempi previsti. La percentuale dei ritardi alla Asl di Bari arriva al 90% per le visite ginecologiche e all’85% per le ecografie programmate entro 10 giorni. Appena meglio a Taranto, dove i tempi di attesa prescritti sono rispettati nel 33% dei casi, ma appena nel 21% nelle visite pneumologiche con priorità a dieci giorni.

Tempi lunghi anche in Liguria dove a Imperia, invece di 30/60 giorni, bisogna attenderne 159 per una visita cardiologica. A Genova servono 270 giorni per un’ecografia addominale da svolgere al massimo entro 60. Migliore la situazione in Emilia-Romagna e nel Lazio, anche qualche criticità c’è anche lì. «Terminata l’emergenza pandemica – scrive CittadinanzAttiva nel presentare il rapporto – i cittadini si trovano a fare i conti più di prima con le conseguenze di scelte improvvide che durano da decenni: lunghissime liste di attesa, pronto soccorso allo stremo, medici di medicina generale assenti in molte aree non per nulla definite “deserti sanitari”. Il ricorso alla spesa privata aumenta ed è incompatibile con un sistema universalistico, oltre a essere possibile solo se le condizioni economiche dei singoli lo permettono. Per molte cittadine e molti cittadini l’attesa si è trasformata in rinuncia». Secondo il rapporto Istat pubblicato a marzo 2023, circa 2,5 milioni di persone hanno rinunciato a cure necessarie per colpa delle liste d’attesa o per ragioni economiche, mentre la spesa sanitaria privata per prestazioni a carico dei cittadini sfiora ormai i 40 miliardi di euro l’anno.

Andrea Capocci, Il Manifesto, 27-VI-2023