La Resistenza di Roma e il mito dell’eterno complotto di Togliatti

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La Resistenza di Roma e il mito dell’eterno complotto di Togliatti

I comunisti furono la principale forza politico-militare. Senza di loro non sarebbe esistita la Lotta di Liberazione. A proposito di una «velina anonima» che mostrerebbe «l’inganno» degli affiliati al Pci

Roma e la sua Resistenza rappresentano un patrimonio storico del Paese da cui l’autobiografia della Repubblica non può prescindere. Tuttavia l’ottantesimo anniversario dell’8 settembre 1943 e dell’inizio della Lotta di Liberazione, che nella Capitale ebbe avvio con la battaglia simbolo di Porta San Paolo, si è aperto con la pubblicazione, sul Corriere della Sera, di un foglio anonimo (una «velina» in gergo poliziesco) non firmato e senza alcuna intestazione, che accusa Palmiro Togliatti di aver complottato «moltiplicando» il numero di partigiani comunisti che presero parte alla Resistenza di Roma. 

La velina, senza alcun altro riscontro documentale, è datata 19 settembre 1945 ed è verosimilmente redatta da qualche informatore del ministero dell’Interno che, dopo aver servito per anni gli ordini del fascismo, era impegnato, con tantissimi altri, a garantirsi un passaggio indolore dalla dittatura alla democrazia in seno a quegli apparati dello Stato caratterizzati da una profonda «continuità» con il regime di Mussolini. La guerra calda era appena terminata e l’incipiente Guerra Fredda si apprestava a spezzare l’unità antifascista internazionale e italiana.
ERANO, AD ESEMPIO, i mesi in cui il leggendario comandante partigiano Ferruccio Parri ricopriva il ruolo di Presidente del Consiglio e ministro dell’Interno e portò alle sue dipendenze la celeberrima spia fascista Luca Osteria, passato con la Resistenza durante la Rsi. L’anticomunismo cominciava ad informare il carattere della transizione italiana sovrapponendosi all’antifascismo.
La velina anonima tira in ballo un «tacito assenso» filo-comunista dell’allora colonnello Siro Bernabò, vero bersaglio del documento. Bernabò, che diverrà comandante delle Forze Terrestri per il Sud-Europa della Nato, nel foglio viene indicato come complice del complotto togliattiano che avrebbe portato da 1.200 a 14.000 il numero dei partigiani comunisti a Roma. Un’azione facilitata dalla composizione «pressoché totalmente comunista» delle commissioni per il riconoscimento delle qualifiche partigiane e dell’Ufficio patrioti. Un falso grossolano smentito dalla semplice lettura dei componenti di questi organi in cui i comunisti vi figurano prima (1944) con un solo esponente su otto (il sottosegretario alla Guerra Mario Palermo) e poi, dopo il decreto del 21 agosto 1945, con tre esponenti su 24 nella Commissione Regionale Laziale presieduta dal socialista Alfredo Monaco. Dati oggi riscontrabili su www.partigianiditalia.cultura.gov.it, un lavoro congiunto dell’Istituto Centrale per gli Archivi, della Scuola Normale Superiore e dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri.
A ROMA, come riportano gli studi curati da Enzo Collotti e Carlo Felice Casula i militanti del Pci raggiunsero le 3.000 unità. In un crescendo costante, dal settembre 1943 al giugno 1944. A confermarlo (ed a confermare le cifre dichiarate dal Pci) non sono veline anonime ma documenti e articoli (oggi conservati negli archivi dell’Istituto Gramsci e dell’Istituto Romano per la Storia d’Italia dal Fascismo alla Resistenza) redatti tra il novembre 1943, quando gli iscritti all’Organizzazione Militare erano già 2.000, e l’aprile 1945 da grandi figure della Resistenza come Giorgio Amendola, Agostino Novella, Fabrizio Onofri, nonché dalla Federazione comunista. E da Antonello Trombadori che dopo la Liberazione scriverà su L’Unità del 16 luglio 1944 che ai GAP Centrali del Pci «è dovuto il 90% delle azioni di guerra e di giustizia condotte nella città di Roma contro i tedeschi e i fascisti». Una «crisi di crescenza» -scrive il comandante del GAP Mario Fiorentini nel giugno 1944- che porta migliaia di persone ad entrare o fiancheggiare il Pci pur in una popolare e genuina refrattarietà alla «disciplina di Partito».
I COMUNISTI furono la principale forza politico-militare della Resistenza a Roma come in Italia. Da soli non ce l’avrebbero fatta. Ma senza di loro non sarebbe esistita la Lotta di Liberazione. Insieme a socialisti e azionisti diedero vita alla Giunta Militare Tripartita in seno al CLN di Roma ed alla guerriglia partigiana che non pose affatto come «priorità l’evitare ritorsioni dei nazisti». Un’immagine riduzionista della Resistenza smentita dalla Medaglia d’oro al Valor Militare conferita a Roma il 16 luglio 2018 dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Amendola spiegò nel 1978 in un’intervista a Gianni Bisiach che «premessa della guerra partigiana era spezzare il ricatto delle rappresaglie» ovvero agire contro il nemico con azioni armate. A Roma se ne contarono centinaia nei 271 giorni di occupazione nazifascista, tanto da spingere i tedeschi al coprifuoco in pieno pomeriggio, al divieto dell’uso delle biciclette, al richiamo in città di reparti impegnati sul fronte di Anzio. Proprio la Capitale, fin dai primi mesi, fece «eccezione» rispetto alle altre grandi città poiché -ricorda Santo Peli- «gli attacchi alle forze di occupazione furono particolarmente fitti». Quanto alle «facilitazioni» di cui avrebbero goduto i partigiani nel dopoguerra basta ricordare i processi penali, il carcere, la cacciata dalle forze di polizia e dalla pubblica amministrazione, i licenziamenti politici e le discriminazioni da loro subite per qualificare tale affermazione.
NON ESISTE GUERRIGLIA senza sostegno popolare. Una guerra asimmetrica dove i confini di chi fiancheggia, sostiene e collabora per convinzione politica o senso dell’umano diviene meno marcato ma non per questo meno efficace e vitale. Questo fu Roma nella sua Guerra Totale. Un luogo dove il conflitto coinvolse una vasta minoranza di civili e militari; donne e uomini; classi colte e popolari. Dove i comunisti affondarono quelle radici che permisero loro di concorrere alla rifondazione dello Stato con la Costituzione e a far nascere la Repubblica. Un racconto collettivo non riducibile ad un foglio anonimo di polizia. «Non diremo mai che siamo stati i migliori – ammoniva Mario Fiorentini – ma ripeteremo sempre che nessuno è stato migliore di noi».

Davide Conti*, Il Manifesto, 26-VIII-2023


* Davide Conti è responsabile della ricerca storica per l’ANPI che ha determinato il conferimento della Medaglia d’oro al Valore Militare alla città di Roma.