Caso Mondadori

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CASO MONDADORI
Una casa editrice è un patrimonio collettivo

Il 18 agosto ho letto sulla Repubblica l'articolo di Massimo Giannini: «Il Cavaliere e la Mondadori, uno scandalo ad aziendam»: ho ammirato, come sempre, la lucidità, la costruzione e il rigore delle argomentazioni. A differenza di altri, non ne ho ricavato alcun disagio e non mi sono sentito chiamato in causa come autore che, in diverse occasioni, e a partire dal 1974, ha collaborato sia con la casa editrice Einaudi che con la casa editrice Mondadori. Se mai mi ha stupito chi ha improvvisamente scoperto quel «disagio», che certamente c'è, e ha ragione di esserci, da ben più lungo tempo, fin da quando la proprietà della Mondadori è stata acquisita con modalità e trucchi ben noti da SilvioBerlusconi. 
Ed è un disagio di natura non diversa nella sostanza da quello che si prova quotidianamente a vivere e a lavorare in un paese retto da un simile governo e da un uomo che, in ogni gesto o parola, esprime una sintesi assoluta di volgarità e prepotenza, di imbrogli e falsificazioni, di tutto ciò che da sempre mi appare più odioso e detestabile.

 
Vorrei allora partire dalla premessa di Asor Rosa nel suo intervento sul manifesto di venerdì 20 agosto: «il bubbone maligno, che distrugge l'Italia, diffonde la corruzione, spazza via il gioco democratico, fa vacillare le istituzioni e le regole, distrugge l'informazione, sottomette tutti i rapporti di classe al gioco dei potenti, è Berlusconi, è il governo in mano a Berlusconi, è il berlusconismo.»
Ma se le cose stanno così, pubblicare con case editrici controllate da Silvio Berlusconi non significa in una qualche misura, e non importa se preterintenzionalmente, prestarsi a una forma ambigua e moralmente sospetta di collaborazione? Non è arrivato il momento di dire «basta» e di compiere un «gesto esemplare»? Non è questa la sola scelta compatibile con il rifiuto netto e inequivocabile della indecenza culturale, della prevaricazione sistematica e della dilagante corruzione che caratterizzano il regime berlusconiano? Non è l'unico modo per non fornire un alibi obliquo e pericoloso a chi cerca di imbavagliare la libertà di espressione appena si affaccia oltre i confini elitari del libro?
Credo di no per molteplici ragioni, e in particolare per una. Perché una casa editrice - con il suo patrimonio di idee, di lavoro, con i suoi autori e i suoi redattori - non è e non può essere proprietà di nessuno. Non avrei mai detto, ad esempio, che pubblicavo con la casa editrice di Giulio Einaudi, ma avrei detto e pensato che pubblicavo con la casa editrice fondata da Giulio Einaudi e che non era (non è mai stata) sua «proprietà». Allo stesso modo oggi mi rifiuto di pensare che la Mondadori e l'Einaudi siano di Silvio Berlusconi solo perché ne controlla il capitale. Sono anche di chi, in questi anni, tra mille difficoltà e talvolta con qualche vistoso e doloroso compromesso, è riuscito a difendere un'immagine culturale e a promuovere linee editoriali che sarebbe ingiusto e ingeneroso definire filo-berlusconiane. È un patrimonio da difendere.

Mario Lavagetto,Il Manifesto, 24 agosto 2010