Manovra, un sì da record

Attenzione: apre in una nuova finestra. PDFStampaEmail

Manovra, un sì da record


CONTI PUBBLICI - Quasi 87 miliardi di euro tra tagli e più tasse, ma solo per i «non ricchi».
Approvazione-lampo a Montecitorio grazie alla 47esima fiducia in tre anni. Quirinale felice, Berlusconi si vanta d'aver fatto tutto lui, il Pd conta i danni
La gatta presciolosa fece i gattini ciechi... La manovra più veloce della storia di ciechi ne ha fatti tanti, ma saranno certo di più i poveri nella prossima rilevazione dell'Istat.
316 voti di fiducia per il governo (la 47° in tre anni), 314 sul testo, in serata; e subito la firma del presidente della repubblica, Giorgio Napolitano. Opposizione zero, dentro il Parlamento. Qualcosa fuori, nel paese, anche se la stagione e la velocità hanno quasi azzerato le possibilità di risposta popolare. Il Pd sembra aver capito solo dopo che è rimasto con nulla in mano: la disponibilità a «non mettersi di traverso» - allungando i tempi della discussione in aula - doveva essere condizionata all'accoglimento da parte del governo di «pochi emendamenti». Nemmeno presi in esame (la Commissione Bilancio si è riunita per mezz'ora, il tempo di alzare la mano e votare). E quindi la beffa finale di un Cicchitto che rivendica «abbiamo preso la fiducia e non ce ne andiamo»; di un Bossi, descritto come sempre lì lì per staccare la spina al Cavaliere, che garantisce «il governo ora va avanti». E infine Silvio Berlusconi, «il muto della settimana», che torna a parlare per dire - ma chi può stupirsene? - che ha fatto tutto lui, che aveva cose più importanti da fare che non parlare in televisione.
Lo stato comatoso dell'opposizione parlamentare è esaltato dalla rabbia con cui i cattolici di tutti gli schieramenti - a cominciare da Radio Vaticana - sparano a zero contro una manovra da 87 miliardi (se non di più) che dimostra «uno scandaloso accanimento contro le famiglie». Andrea Olivero, presidente delle Acli, sottolinea come «non si è avuto il coraggio di colpire le transazioni finanziarie né di introdurre una patrimoniale per i più ricchi, si è avuto invece il coraggio di colpire pesantemente le famiglie e di ignorare ancora una volta la condizione di povertà assoluta in cui versano tre milioni di persone nel nostro Paese».

Di «macelleria sociale» parla anche Sergio D'Antoni, ex segretario Cisl che sembra Che Guevara a confronto con l'attuale, Raffaele Bonanni. Al centro di tutte le critiche la logica dei «tagli lineari» che ha colpito tutte le centinaia di agevolazioni fiscali esistenti (dagli asili nido ai corsi di ginnastica, dagli interessi sui mutui ai figli minorenni) e, sul piano simbolico, dall'intangibile faccia tosta dei politici che non hanno ritenuto necessario neppure fare un gesto simbolico di partecipazione ai «sacrifici»; tagliandosi magari qualche privilegio secondario.
Se sul piano sociale le conseguenze sono chiare, indubbie, pesantissime, su quello macroeconomico rischiano di essere uno starnuto dentro l'uragano della crisi. Motivata da tutte le parti (dal Quirinale all'ultimo dei portaborse) come «indispensabile per tranquillizzare i mercati» sulla tenuta dei nostri conti pubblici, rischia di non avere nessun effetto proprio su questo fronte. La speculazione finanziaria, infatti, lavora su un orizzonte di brevissimo periodo e non si cura affatto né della velocità con cui viene varata una manovra, né della «coesione politica» di una classe dirigente (specie se complessivamente poco credibile come quella italiana); e soprattutto lo fa tenendo d'occhio cifre rispetto alle quali anche gli 87 miliardi cavati a forza dalle tasche degli italiani più poveri sono poco più che spiccioli. Se così non fosse, d'altro canto, la Grecia si sarebbe sottratta da tempo agli attacchi speculativi.
Resta quindi solo questo «brillante risultato»: Berlusconi rimesso in sella senza nemmeno sentirsi obbligato a ringraziare l'opposizione, Napolitano a fare i complimenti a tutti, e Bersani che solo all'ultimo momento - in aula e a giochi ormai chiusi - arriva a definire questa manovra come «classista». Se poi lunedì o martedì ci sarà un'altra giornata di panico in borsa, bisognerà ricordarsi bene di quel che ognuno ha combinato in questo frangente. Per la cabina elettorale, ovvio. Tommaso De Berlanga, Il Manifesto, 16-VII-2011