Quel referendum dimenticato

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Quel referendum dimenticato


Il 25-26 giugno del 2006, dunque, il popolo italiano, vanificando con referendum la modifica, di berlusconiana memoria, della II Parte della Costituzione, riaffermando la intangibilità della forma parlamentare di governo, produsse una decisione mai prima adottata nella storia degli stati retti su costituzioni scritte. Rinnovò la validità e l’efficacia della sua Costituzione tal quale era stata deliberata per la forma di governo dall’Assemblea costituente nel 1947

Ho atteso qualche giorno che qualcuno dei leader politici di questo Paese, specie se sedicente democratico, replicasse con chiarezza, fermezza, risolutezza all’ultimo colpo che Berlusconi vuole infliggere alla democrazia italiana trasformando la nostra repubblica con un emendamento. Quello che, peggiorando irrimediabilmente il progetto di legge costituzionale in discussione al Senato, già da solo, è inficiato da insipienza giuridica e di perversione politica.
Ho atteso che si potesse risvegliare in qualche segretario dei partiti non-azienda la reminiscenza del dovere inderogabile e imprescrittibile di ogni democratico: quello di rispettare la volontà del popolo. Ma i segretari tacciono o balbettano i loro «ni», «so», «vedrò». È perché dirigono partiti che non hanno memoria e hanno quindi un’identità debole, incerta, confusa. Hanno perduto anche il ricordo dell’unico evento alto e nobile di questi vent’anni. A determinarlo fu il corpo elettorale di questa Repubblica che dichiarò la sua volontà sulla forma di governo che voleva per sé, esprimendola nella forma giuridicamente e politicamente più univoca ed ineccepibile, quella del referendum.
Sei anni fa, non sessanta, il 25-26 giugno 2006, infatti, le elettrici e gli elettori di questo nostro Paese, con una maggioranza di gran lunga superiore a quella necessaria, hanno confermato, ribadito, consacrato per la nostra Repubblica, la forma parlamentare di governo come prescritta dal Costituente italiano negli anni migliori della nostra storia nazionale.

Una Repubblica basata su tre organi di pari dignità e di poteri distinti e distribuiti secondo il principio dei pesi e contrappesi. Quindi un Parlamento, sede eccellente della rappresentanza della Nazione e perciò legislatore. Un governo esecutore delle leggi e legittimato per composizione e nell’esercizio delle funzioni dalla fiducia espressagli e revocabile dal Parlamento. Un Presidente della Repubblica, garante attivo della Costituzione e rappresentante dell’unità nazionale. Perciò, sottratto in anticipo, per derivazione e per definizione, dalla possibilità che possa ricevere la sua investitura solo da una maggioranza, pur se del corpo elettorale. La rappresentanza dell’unità, infatti, esclude radicalmente e irrimediabilmente quella di una parte sola. Il Capo dello stato nella nostra Repubblica si qualifica in tal modo per essere organo politico “non di parte”. Lo apprende ogni studente di primo anno delle facoltà di Giurisprudenza, di Scienze politiche e di Economia. Lo sa chiunque in Italia abbia partecipato attivamente alla vita politica, lo avverte ogni elettrice ed ogni elettore.. Le offrì, dopo sessanta anni, i suoi perduranti consensi, ne restaurò il più alto valore legale, il massimo di legittimità giuridica e politica.

Fu un primato duplice. Arrise alla sensibilità giuridica e politica del popolo italiano. Premiò la Costituzione italiana per il suo contenuto, per la sua persistente corrispondenza agli interessi, ai valori, ai progetti delle donne e degli uomini di questo Paese, per gli obbiettivi cui mira, mantiene e difende. Negarlo, disconoscerlo e vanificarlo costituisce quindi vilipendio alla Nazione italiana.

Non solo. Eludere, disconoscere, vanificare quel voto è eludere, disconoscere, vanificare il senso stesso del diritto nella sua norma definitiva del sistema costituzionale vigente. La norma dell’articolo 139 secondo cui la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale. Dire “forma” non significa dire solo repubblica significa quella determinata forma di repubblica, esattamente quella descritta e prescritta negli articoli che lo precedono. Diminuire, svuotare, sfumare il termine forma è mestiere di azzeccagarbugli prezzolati o di falsari abituali.

Una rappresentanza parlamentare di dubbia, molto dubbia legittimazione, per le modalità con cui è stata selezionata, abbia almeno la sensibilità di astenersi dal tradire insieme democrazia e diritto.

Gianni Ferrara, www.esserecomunisti.it. L’articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Manifesto il 5-VI-2012