Berlusconi non è ancora passato alla storia

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Berlusconi non è ancora passato alla storia


INTERVISTA

«Berlusconi passato alla storia» è stato un fortunato libro del 2010, tradotto in Francia e Svezia, nel quale Antonio Gibelli, che insegna storia contemporanea all'Università di Genova, inquadrava il Cavaliere in una prospettiva lunga. E leggeva l'uscita di scena del fondatore di Forza Italia come il compimento di una funzione storica, più che la conseguenza dei mille accidenti nei quali da presidente del consiglio era rimasto impigliato. Due anni dopo, però, Berlusconi è ancora qui, in campagna elettorale e in tutte le tv.

Professore, ha scritto un «coccodrillo» e lo ha pubblicato troppo presto?

Qualcosa del genere. Il mio libro era soprattutto un auspicio, l'espressione di un bisogno personale ma forse non solo: quello di prendere le distanze dal fenomeno, di cominciare a guardarlo in modo prospettico, per evitare di rimanerne soffocati. Lo sguardo storico, distanziato anche se non avalutativo, è molto appropriato per compiere questa operazione terapeutica. Pensando da storico puoi trattare il tuo avversario come un oggetto.

Berlusconi conserva ancora un po' di quella carica eversiva che ne ha segnato il successo?

La conserva tutta. Berlusconi è, costitutivamente, contro il sistema democratico. È uno scandalo, un'anomalia: in un paese normale non avrebbe potuto sussistere così a lungo. Egli è anche la più pura incarnazione dell'antipolitica, se si intende per politica la mediazione che rende possibile la convivenza, la composizione avanzata dei conflitti, l'idea del bene comune. Agisce sulla base dell'interesse personale e gli fa ruotare tutto intorno. Riduce il pubblico al privato. Assume gli umori plebei e li riconverte in strumenti di consenso personale: come l'appeal del cafone con la fidanzata avvenente 46 anni più giovane di lui o la favola di Ruby Cenerentola capitata alla sua corte e subito soccorsa. Attinge alla sentina sociale e ne trasforma il liquame sottoculturale in discorso pubblico. Si pensi al colpo da maestro di ridimensionare Monti come un professore che non conosce la vita: è quello che dicono i commentatori da bar. Non c'è nulla di rassicurante, nulla di moderato nel suo modo di proporsi: solo la coltivazione di un sogno di rivincita impossibile, la soddisfazione dei pezzenti di eguagliare tutto alle proprie miserie, di sentirsi legittimati nella propria ignoranza.

A suo giudizio ha ancora qualche chance di risultare decisivo nel prossimo parlamento?

Fare previsioni è difficile, ma darlo per spacciato sarebbe imprudente. È un uomo ancora molto potente. La sua ricchezza è immensa, come hanno dimostrato le cifre della separazione dalla moglie. La sua paranoia lo mette al riparo dalla depressione. Il suo potere di corruzione, che ha tenuto in vita la legislatura quando sembrava liquidata, può ancora mordere. Naturalmente tutto è oggi contro di lui: la rottura con la Lega, la disgregazione del Pdl, l'ascesa della stella montiana, il benservito della Chiesa. Ma questa situazione proibitiva ne esalta la sfrontatezza, la capacità di colpire a testa bassa. Come si è visto nell'occupazione militare degli spazi tv: che è stata teorizzata, senza mascherature, e portata avanti con determinazione.

Il suo ritorno è bastato a rianimare il Pdl. Eppure era proprio lui che per fallimenti e figuracce personali era finito nel baratro. Come lo spiega?

Il centrodestra è vissuto esclusivamente sotto la sua luce, lo ha venerato e servito perché da lui discendevano voti, denaro e potere. Senza lui non sarebbe stato nulla. Si pensi ad Alfano: una creatura virtuale, a cui lui ha dato e tolto vita alternativamente, a suo arbitrio. È normale che in sua assenza, il centrodestra tenda a disgregarsi e che la sua sola presenza lo rianimi. Ma bisogna vedere fino a che punto. C'è una soglia al di sotto della quale neppure il suo titanismo potrà fare nulla.

Non crede che, vecchio populista, possa riuscire a intercettare, nonostante tutto, nonostante soprattutto le sue responsabilità, almeno un po' degli umori neri provocati dalla crisi?

Non solo è possibile: è certo. Nei bassifondi sociali scossi dalla crisi e senza speranza, il grido selvaggio contro i complotti, contro l'Imu, contro i vampiri della politica avrà il suo peso. Si tratta di capire quanto sia grande quest'area, e quanto viceversa sia largo e tenga il bastione del «ceto medio riflessivo», come lo chiama Paul Ginsborg.

Secondo lei era possibile un finale diverso, una successione nel suo partito? Un Berlusconi di nuovo negli affari e ai margini della politica? O nel suo caso la rovina è l'unica alternativa al successo?

Credo che egli agisca sulla base di una coazione a ripetere difficile da contrastare. Coazione psicologica, perché la sua personalità tende a rifiutare i limiti, non è in grado di assumere né la logica né la realtà come un confine: basti pensare alla messa tra parentesi del principio di non contraddizione, quando ha accusato Monti di essere causa di un disastro e contemporaneamente lo ha indicato come la migliore guida del centrodestra. Ma soprattutto coazione giudiziaria e affaristica. Berlusconi è il campione del «tutto o niente». Avverte il rischio nichilista del suo farsi da parte.

Le chiedo un giudizio sul comportamento della grande stampa, quella che con Berlusconi in auge rimase terzista, e della Chiesa, che sorvolò sulle cene eleganti di Arcore. Oggi sono entrambe contro di lui, e per Monti.

È un capitolo che la storia dovrà distesamente narrare. Mettendo in fila tutti i pavidi e i "prudenti" che nel pieno del suo dominio hanno semplicemente messo tra parentesi la sua incompatibilità democratica: hanno fatto finta di niente, ignorato come fosse in corso un golpe strisciante basato sulla supremazia mediatica, sulla demolizione dell'indipendenza della magistratura, sulla riduzione del parlamento a bivacco per le sue clientele. Anche della Chiesa si dovrà raccontare con calma: essendo, quello dell'appoggio pieno dato a Berlusconi, uno de momenti più vergognosi della sua storia post-bellica. Il momento che più ne ha disvelato il volto di potenza mondana, la rinuncia al trascendente, offendendo i religiosi autentici.

Due anni fa lei previde che il lento declino di Berlusconi avrebbe favorito confusione e nuovi sentimenti antipolitici. È andata così? Sarà Bersani a pagarne lo scotto, con una campagna polarizzata tra Berlusconi e Monti?

È così, ma non è detto che tutto questo giochi contro Bersani. Forse questa volta lo spettacolo di una schiera esagitata di capipopolo che, come Grillo, mangiano (o meglio espellono) i propri figli, può esaltare per contrasto l'immagine del partito serio, che non mette il nome del leader nella scheda, che non rincorre il folle Berlusconi nella sua invasione televisiva, insomma del caro vecchio partito fatto di persone umane. Potrebbe andare così, o almeno io me lo auguro.

Andrea Fabozzi, Il Manifesto, 4-1-2013