SECONDA REPUBBLICA Letta, i saggi e la Repubblica di Bottai

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SECONDA REPUBBLICA

Letta, i saggi e la Repubblica di Bottai

Bottai, che a suo modo da giovane era stato repubblicano e non fu repubblichino, non è giunto a vedere la crisi del sistema politico nato dalla Resistenza, ma la sua idea fascista di Italia antifascista ce la troviamo ormai davanti ogni giorno: è viva, concreta, ha anima e corpo. Vendetta sua postuma e miseria morale di quanti, badando a carriere e poltrone, hanno aperto la via a chi aveva ed ha come principale fine politico la morte della Costituzione

Occorre liberarsi delle costituzioni antifasciste, «consiglia»JP Morgan e non fa meraviglia: per sua natura, sosteneva non a torto Pietro Grifone, il fascismo è il regime del capitale finanziario e in realtà l'attacco alla Costituzione non è il prodotto di riflessioni nuove e originali. La Resistenza fu prevalentemente rossa e comunista e, di conseguenza, la Costituzione che ne nacque è stata da sempre un ostacolo per le aspirazioni liberticide del capitalismo. La destra lo sa bene, il centro sinistra finge d'ignorarlo per connaturata doppiezza, ma dietro la ricetta del colosso della finanza globale ci sono le ragioni profonde delle «larghe intese» e i motivi cari a quella parte del fascismo che, dopo la guerra, conservò impunemente le sue radici, dando frutti via via più velenosi.

In questo senso non è casuale che nella nascita della cosiddetta «seconda repubblica», così come l'hanno voluta gli «sdoganatori» di La Russa e Gasparri, i protagonisti della Bicamerale e i principali azionisti della «pacificazione-parificazione» provengano da una sinistra pentita, decisa a convergere al centro e pronta perciò a benedire i «ragazzi di Salò», ad agevolare l'operazione Foibe e a tacere sui vergognosi processi alla Resistenza. Se occorrono nomi, c'è solo l'imbarazzo della scelta: Luciano Violante, che nel ventennale della morte di Almirante partecipò alla giornata di lettura di passi dei discorsi tenuti dall'ex sottosegretario di Salò alla Camera, Massimo Dalema e il Giorgio Napolitano del «giorno della memoria».

L'anticomunismo berlusconiano, che affligge buona parte degli ex comunisti, ha di fatto spianato la via alla formula dei «totalitarismi» tutti uguali tra loro e non c'è scelta: prima di gridare allo scandalo per la Costituzione aggredita, occorre riconoscere nell'attuale centrosinistra il più efficace protagonista di quel revisionismo, che Arfè definì «sovversivismo storiografico» e s'è fatalmente rivelato come un acerrimo nemico dei lavoratori.

Alle radici della «seconda repubblica» c'è anzitutto l'equiparazione del fascismo al comunismo. Checché ne pensino gli ideologi della politica senza ideologia, l'equazione è fascista - quindi ideologica e politica - e il valore della "ics" per cui essa risulta verificata l'aveva già trovato uno dei teorici dello Stato Corporativo, che il 20 dicembre 1945 così annotava nel suo diario: «Bisogna dare atto a Gide che ci voleva un certo coraggio morale a scrivere, nel 1931: 'Et si j'approuve la contrainte soviétique, je dois approuver également la discipline fasciste'. Un antifascismo comunista, fondato sull'accusa di liberticidio, di dittatura, di pugno duro, d'accentramento di poteri, di statalismo, di "dirigismo", e chi più ne ha più ne metta, è un non senso. Lo stesso non senso d'un anticomunismo fascista, basato sui medesimi argomenti. Quei democratici che collaborano coi comunisti in nome dell'antifascismo non sanno quel che fanno. L'antifascismo che intenda "restaurare" la libertà democratica, è implicitamente anticomunista e coincide col migliore e più autentico fascismo».

Il «democratico» così seriamente preoccupato delle sorti dell'antifascismo era nientemeno che Giuseppe Bottai, che fondò e diresse per venti anni "Critica Fascista", fu governatore di Addis Abeba, guidò il Ministero dell'Educazione Nazionale e legò al suo nome la «Carta del Lavoro». Protagonista di primissimo piano del ventennio, alla resa dei conti pensò ed impose con Grandi l'ordine del giorno che al Gran Consiglio mise in minoranza Mussolini. «Custodito» in Vaticano, si arruolò nella legione straniera, combattendo contro i nazisti, e fu assolto dall'ergastolo, cui era stato condannato per il suo passato di altissimo gerarca fascista, grazie alla sanatoria che consentì l'ennesimo «tutti a casa» di questo nostro disgraziato Paese. Tornato a Roma nel 1948, rifiutò di rientrare in politica - la Dc premurosa gliene aveva offerto l'occasione - ma fu l'ispiratore de «Il Popolo di Roma», che aggregò monarchici, liberali, missini e uomini della destra democristiana - fascisti riciclati come lui - pronti a sostenere la Dc, in modo che non dovesse fare apertamente ricorso al Msi di Almirante.

Bottai, che a suo modo da giovane era stato repubblicano e non fu repubblichino, non è giunto a vedere la crisi del sistema politico nato dalla Resistenza, ma la sua idea fascista di Italia antifascista ce la troviamo ormai davanti ogni giorno: è viva, concreta, ha anima e corpo. Vendetta sua postuma e miseria morale di quanti, badando a carriere e poltrone, hanno aperto la via a chi aveva ed ha come principale fine politico la morte della Costituzione. Paradossalmente Bottai in forte dissenso con Violante, non avrebbe appuntato medaglie sul petto dei ragazzi di Salò che, se l'avessero avuto tra le mani, gli avrebbero fatto la pelle.

Da fascista convinto e coerente, salvata la vita, non cercò «riabilitazioni». A riabilitarlo, ci ha pensato la «seconda repubblica», quella della Bicamerale, del sangue dei vinti e dei giorni della memoria smemorata. La repubblica che da giovane aveva sognato il fascista Bottai.

Giuseppe Aragno, Il Manifesto, 3-VII-2013