“La vita in comune” di Edoardo Winspeare

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“La vita in comune” di Edoardo Winspeare

La recensione all'ultimo film del regista salentino presentato alla 74esima Mostra del cinema di Venezia
Ancora il sole e il mare della Puglia a fare da sfondo al film del regista salentino Edoardo Winspeare in concorso alla 74esima Mostra del cinema di Venezia nella sezione Orizzonti.
Il contesto de La vita in comune è la silenziosa miseria culturale di certi nostri paesini del Sud dove la gente immobile nel sole abbagliante delle piazze deserte, sembra nutrire un vuoto interiore immenso laddove invece, spesso, nasconde e pulsa di inquietudine e sogni.

Il sindaco di uno di questi paesini depressi, persona dolce, malinconica e non all’altezza del suo compito, compensa la sua inadeguatezza – e quella della classe politica del suo paesino – con l’amore per la letteratura e gli incontri con detenuti di basso calibro.
E il sorriso appare sul volto triste del sindaco solo quando incontra i detenuti provando ad iniziarli alla poesia.
Sono questi i personaggi deliziosi del poetico e realistico film di Winspeare: il sindaco di un paese immaginario e dimenticato da tutti (Disperata, nome che rende omaggio a Depressa, paese d'origine del regista) e due detenuti goffi e improbabili: tutti personaggi veri, semplici e miserabili ma, a loro modo, ricchi.
Ciascuno con un proprio sogno: diventare uno da “rispettare”, riuscire nella rapina del secolo, aspettare la telefonata del Santo Padre, avvistare la foca monaca, o realizzare uno zoo nel paese depresso.
La bellezza del film sta nel raccontare una storia collettiva drammatica (quella appunto di un paese depresso e, per questo, perduto) con infinita dolcezza dove realtà e fiaba si intrecciano generando momenti di indubbia comicità.
La vita di ciascuno di questi tre personaggi scorre lenta nel suo percorso verso una meta apparentemente segnata (il reiterato primo piano di una lumaca che si muove lenta nel sole, lo sfondo immobile dell’azzurro mare salentino e la fissità vacua dei frequentatori abituali del bar del paese sembrano l’emblema di una conclusione ineluttabile).
Ma l’incontro tra i tre protagonisti permetterà ad ognuno di essi di fare una scelta diversa e il film prende il respiro del riscatto.
E, così, le storie dei protagonisti cambiano rotta mentre il mare che vedevamo sullo sfondo nella sua azzurra immobilità si agita al tuffo coraggioso del sindaco, la piazza diventa teatro di un tentativo di comizio, i detenuti si convertono alla poesia o alla difesa del creato e la figura infinitamente dolce del reduce dall’Iraq accenna un primo sorriso di risposta.
La vita in comune è, allora, un film che, con levità, parla del senso dell’incontro, della rinascita e della ricchezza del vivere “insieme” (in piazza, in carcere, nel bar o nella sala comunale).
È una fotografia luminosa e abbagliante di sole che riflette la potenza dei risultati quando ad incontrarsi e a convivere sono figure opposte e, per questo, solo apparentemente lontane.
16 settembre 2017
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Simonetta Rubino, magistrato, Bari, Questione Giustizia